il tranviere metafisico

Ieri sera, a 88 anni, è morto Luciano Erba, poeta italiano.
A me è sempre piaciuto molto e mi dispiace.

Il tranviere metafisico

Ritorna a volte il sogno in cui mi avviene
di manovrare un tram senza rotaie
tra campi di patate e fichi verdi
nel coltivato le ruote non sprofondano
schivo spaventapasseri e capanni
vado incontro a settembre, verso ottobre
i passeggeri sono i miei defunti.
Al risveglio rispunta il dubbio antico
se questa vita non sia evento del caso
e il nostro solo un povero monologo
di domande e risposte fatte in casa.
Credo, non credo, quando credo vorrei
portarmi all’al di là un po’ di qua
anche la cicatrice che mi segna
una gamba e mi fa compagnia.
Già, ma allora?, sembra dica in excelsis
un’altra voce.
Altra?

Quando ce ne andiamo

Quando ce ne andiamo ti ricordano per un sorriso
per un raro gesto di generosità
per un tic, per la balbuzie, per la loquacità
per la sciarpa bianca o cammello
per la cravatta sbagliata
per l’accento padano
quanto a me ricordatemi come volete
ancor meglio se ne fate a meno, vivete!

riti di massa

Alla seconda nota diffusa dalla radio amplificata, il bar di via Crocetta, a quest’ora animato da una ventina di persone variamente rumorose, di colpo ammutolisce. Nessuno fiata; tre lunghi minuti, religiosi, in cui ognuno osserva attento il mulinello lento del cappuccino come fosse una colpa antica, seppellita, ma riguardata ora da un’altezza vertiginosa, una salvezza solo immaginata. Poi, quando l’angelo vola a gola spiegata verso l’ultimo ritornello, un’ambulanza di passaggio canta l’ite missa est e nella pioggia di piume e lustrini dà il via libera per gli uffici, gli androni, i sottoscala, le carte, gli sbuffi, i maneggi, gli scarafaggi e tutto l’armamentario terricolo, polveroso e sudaticcio che esala i suoi affanni nell’obliqua luce del mattino terrestre.

my own private madagascar

«Che figata essere Berlusconi! Che esperienza piacevole di cui non smetterei mai di godere! Popolo, eccomi, sono il tuo re! Lo testimonia l’enorme accumulo di ricchezze, di potere e di figa che mi contraddistingue. Sono proprio io, popolo! Non credi ai tuoi occhi, vero? Applaudimi spontaneamente! Insomma, come si fa a non adorarmi? Se non fossi Berlusconi penso che mi adorerei anche io. Niente di personale gente ma io sono migliore di voi. E tuttavia io, Berlusconi (è il mio nome) vi voglio bene anche se non ve lo meritate e ho pietà delle vostre misere testoline, per cui intercederò presso gli Dèi miei pari. Cosa desiderate? Cosa vi può aiutare a sopportare la vostra inutile esistenza quotidiana priva del lusso minimamente accettabile e del fulgore della divinità? Volete che invada uno stato confinante e instauri un’ideologia utile a mascherare la sua spoliazione a beneficio degli interessi delle classi dominanti? Volete che faccia piovere per sei mesi? Volete che proclami sospesa fino a nuovo ordine la decadenza corporale in cambio del versamento di un congruo obolo? Lo posso fare, la base scientifica e le mie amicizie lo consentono! Miei sudditi, o voi inferiori in quanto non proprietari come il sottoscritto di sontuose ville in luoghi ameni del pianeta dotate di tutti i comfort e di stuoli di servitori di ogni tipo pronti a soddisfare qualsiasi desiderio e brama, io, Berlusconi (è sempre il mio nome) vi dico di alzarvi! Alzatevi dunque! E unitevi a me nell’adorazione del sottoscritto! E nel legittimo perseguimento di tutti i vostri desideri più nascosti e lubrichi! Purché essi non contraddicano i miei! Ditelo tutti insieme! Che figata essere Berlusconi!».

guido mazzoni, mondi della poesia moderna

      

I mondi è una raccolta poetica scritta da Guido Mazzoni e pubblicata da Donzelli.

Guido Mazzoni è un critico letterario. Ha pubblicato in passato alcuni testi importanti, sostenendo una posizione radicale circa la natura e le prospettive della lirica contemporanea, in particolare: Sulla poesia moderna e Forma e solitudine.

I testi poetici raccolti ne I mondi hanno sicuramente un valore autonomo e non necessitano di alcun supporto. Tuttavia è interessante, per altri scopi, provare a percorrere le due produzioni dell’autore e tentarne una lettura intrecciata, quasi in trasparenza.

Nel suo bel saggio Sulla poesia moderna, Mazzoni parte dalle categorizzazioni antiche per individuare la novità saliente della poesia moderna nell’abbandono, iniziato in epoca romantica, delle forme cerimoniali e dei contenuti codificati dalla tradizione, sostituiti dall’esaltazione di un “io” sempre più contingente e individualizzato. Sul piano dei contenuti lo spazio viene progressivamente occupato dalla biografia empirica dell’autore, colta nella misura del frammento irriducibile di realtà capace di condensare significati inediti (con uno stacco importante, quindi, rispetto a un’idea di biografia stilizzata, riassunto coerente di un “sé poetico ideale” con fini rappresentativi ed emblematici, già presente agli inizi della lirica italiana sul modello del Petrarca). Sul piano delle forme, in parallelo, diventa dominante un progetto di libertà espressiva senza freni. Il risultato, almeno a livello ideologico, è la progressiva coincidenza tra colui che dice “io” nei testi e colui che mette la firma in copertina: la poesia diventa libera espressione di un io empirico che parla di sé.

Continue reading

impareggiabili conti

Vide distintamente, a grande distanza, suo padre salire nella villetta, ancora sull’asfalto suburbano, colpi Johnny la stanchezza, la non-joy del suo cammino. Lo seguì per tutto il tratto scoperto, il cuore liquefacenteglisi per l’amore e la pietà per il vecchio… «È terribile ora avere dei figli della vostra età». Ogni suo passo parlava di angoscia e di abnegazione, ed il figlio alto e lontano sentiva che non avrebbe mai potuto ripagarlo, nemmeno in parte centesimale, nemmeno col conservarsi vivo. L’unica maniera di ripagarlo, pensava ora, sarebbe stata d’amare suo figlio come il padre aveva amato lui: a lui non ne verrà niente, ma il conto sarà pareggiato nel libro mastro della vita. Tremava per la voglia ed il disegno di riceverlo bene, adeguatamente, ma come il padre si sottrasse alla sua vista imboccando i primi scalini della villetta, allora Johnny automaticamente e con una grinning ansia, pensò se aveva portato le sigarette.

alice munro, in fuga

In apparenza il libro di Munro è una raccolta di racconti nel filone del realismo minimalista americano: storie comuni di gente comune narrate con la dose minima possibile di artificio narrativo. In realtà, rispetto a quell’approccio, Munro mostra una particolare sensibilità per certe tematiche più vagamente “metafisiche”, il che, oltre a renderla più interessante, la porta a aumentare le dosi di “fiction” romanzesca e di costruzione nelle sue trame (svolte, colpi di scena, abbondanti agnizioni e il ricorso quasi ossessivo a enormi salti temporali) e a dosare  le sfumature psicologiche, che non rivestono qui una funzione piattamente mimetica, ma alludono sottotraccia a un piano allegorico. Evita così, quasi sempre, il limite tipico del soffocante approccio minimalista, lo scivolamento nell’esistenzialismo spicciolo e lacrimoso, nei “piccoli drammi di un’esistenza” e prima ancora svicola da quell’idea disastrosa che “realismo” significhi replicare la noia e l’assenza di eventi di una fantomatica “vita reale”. Usando le sue armi – tra cui una scrittura eccellente – Munro dipana temi astratti (il fato, lo scorrere del tempo e i suoi effetti abrasivi sulle persone, l’individuo come monade, la dimensione femminile) fino a costruire quelle che a volte sembrano vere e proprie novelle metafisiche ben mascherate. Forse il solo limite il lettore lo trova in una certa mancanza di cattiveria: se pensiamo a un autore in qualche modo vicino per atmosfere come Yates, notiamo come questi, proprio grazie a una ferocia corrosiva, riesca a trasformare le sue storie comuni in ritratti universali. Munro, come detto, sceglie la via della sfumatura ma a volte pare difettare di potenza nella scrittura, raffinata ma solo a volte davvero incisiva, o nella scelta dei destini dei suoi personaggi: la presenza di forti tematiche extranarrative, che da una parte fa salire di giri queste storie, tende tuttavia a prevalere sui personaggi che le incarnano, così che l’enorme dispiegamento di particolari descrittivi e di finezze psicologiche si rivela insufficiente per difenderli dal piano dei concetti, che le trasforma quasi in marionette al proprio servizio. Paradossalmente quindi non è l’eccesso di “realismo quotidiano” il pericolo da cui questi racconti devono difendersi, ma un opposto eccesso ideologico verso cui la scrittura non trova un vero antidoto interno.

il punto, esattamente

«

Che cosa deve succedere perché la sinistra invece di partire da questo continuo e insopportabile parlare di sé e dei suoi organigrammi si decida a tentare una nuova analisi della realtà? Dico realtà. Cioè non il chiacchiericcio riformista e politologico di questi anni, e nemmeno solo voti, modi di pensare, giustissime considerazioni sulla nostra debole presenza in molti territori. Dico mutazione dell’identità nazionale, crisi dello stato di fatto, cioè dell’essere sociale e culturale degli italiani. Calma e gesso. Evitiamo di drammatizzare.

La nostra sconfitta consiste in questo stare solo sulla cronaca politica, quasi ignari di processi più di fondo. Ma nemmeno la destra vince. Il «sultano» che non risponde ai giudici e alle regole perché sarebbe l’eletto del popolo ha preso solo il 32% dei voti espressi. E se calcoliamo l’astensione, scopriamo che solo 17 italiani su 100 hanno votato per lui. La Lega avanza in una delle regioni più ricche del mondo (il Nord d’Italia: 20 milioni di abitanti) mentre la Campania e la Calabria ritornano sotto il pieno controllo di forze senza volto.

Sono cose che dovrebbero spingere a pensare la politica, non come la «tabula rasa» di ogni ideologia, ma come invece è: un problema di idee di visione del futuro di impegno morale. Le solite chiacchiere di un vecchio comunista? Forse. In realtà stiamo assistendo a qualcosa che era in atto da tempo (vedi gli inutili articoli di Alfredo Reichlin) ma che configura ormai una sorta di cambiamento in diretta della fisionomia storica e culturale del Paese che abitiamo. Quindi la domanda che le cose rivolgono alla politica e ai partiti compreso il nostro, è chiara: dove pensiamo di riposizionare l’Italia, non come singole regioni (i famosi «territori») ma come organismo vivente capace di tenere insieme veneti e calabresi?


Esattamente la domanda che Galli Della Loggia ha posto alla Lega: riuscirà questo partito di Bossi a trasformarsi in una forza in grado di elaborare una prospettiva non solo «padana» ma nazionale? Forse se questa domanda, alla quale la Lega non è assolutamente in grado di rispondere, ce la ponessimo noi, potremmo – dico forse – assistere al miracolo: i capi di questo partito che smettono di piangersi addosso e che cominciano a tirarsi su i pantaloni per discutere tra loro, non sul chi comanda, ma sul fatto che una grande prateria si è aperta davanti a noi: la necessità di elaborare una nuova «idea nazionale». Non è poco ma questo bisogna fare. E farlo con la serietà e l’umiltà di chi sa che nessuno ha già le risposte e che queste vanno ricercate insieme, formando cioè un «gruppo dirigente», plurale ma coeso perché consapevole della missione che gli è capitata addosso.

Vogliamo davvero ritornare alla politica come impegno morale? Questa è la strada. Non bastano le poesie di Niki Vendola. Ci vogliono idee. Ecco ciò che voglio dire in sostanza ai giovani. Fatevi avanti, ma tirate fuori qualche idea forte oltre al certificato di nascita. La storia non ci dice che età avesse Giolitti al suo avvento, ma ricorda che idee mise in campo: riconobbe i diritti del mondo del lavoro, concesse il suffragio universale maschile, riformò il vecchio Stato sabaudo e reazionario. Del resto anche Berlusconi vinse dieci anni fa sulla base di idee nuove, sia pure perverse, sulla società degli individui e sulla sostanza del potere. Il paradosso attuale è che tutti invocano svolte, rinnovamento, addirittura «papi stranieri» (i quali sotto la regia di Ezio Mauro dovrebbero prendere in mano il Pd) ma non dicono dove stia il banco di prova di questo famoso rinnovamento.

Sta qui, cari amici. Sta nello scenario storico italiano davvero nuovo e denso di interrogativi inediti che il voto ha spalancato davanti ai nostri occhi. Dunque è qui dove si fissa finalmente in modo chiarissimo l’asticella dell’alternativa. Molta chiacchiera «riformista» di questi anni è alle nostre spalle. L’alternativa si fissa qui, dove è tornato in gioco l’assetto dello Stato repubblicano definito dalla mia generazione a prezzo di molto sangue e molti sacrifici. Non è affatto inevitabile la rottura dello Stato. Ma le ragioni dell’unità nazionale devono essere rielaborate, e ciò in un più stretto rapporto con l’Europa e col mondo. Forse un assetto federalistico è ormai inevitabile. Ma se si slabbra il tessuto della nazione saranno i diritti democratici e quelli dei più deboli a pagare.

(Alfredo Reichlin, L’Unità, 7 aprile 2010)

»

Ci voleva un ottantenne.


Trovato grazie a Knut

venerazione

Salendo la rampa mobile
apparizioni a livello suolo
i piedi ben calzati a ritmo
sulle scanalature di metallo
sul marciapiede la mano del padre
dice aspetta quel faro si avvicina
ubbidiente il cappottino rosa
poi sei rintocchi invadono l’aria
appare un villaggio
la vallata si intuisce appena
nella bruma poi la frana
d’asfalto sotto di me,
il caffè del mattino dentro di me.