il punto, esattamente

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Che cosa deve succedere perché la sinistra invece di partire da questo continuo e insopportabile parlare di sé e dei suoi organigrammi si decida a tentare una nuova analisi della realtà? Dico realtà. Cioè non il chiacchiericcio riformista e politologico di questi anni, e nemmeno solo voti, modi di pensare, giustissime considerazioni sulla nostra debole presenza in molti territori. Dico mutazione dell’identità nazionale, crisi dello stato di fatto, cioè dell’essere sociale e culturale degli italiani. Calma e gesso. Evitiamo di drammatizzare.

La nostra sconfitta consiste in questo stare solo sulla cronaca politica, quasi ignari di processi più di fondo. Ma nemmeno la destra vince. Il «sultano» che non risponde ai giudici e alle regole perché sarebbe l’eletto del popolo ha preso solo il 32% dei voti espressi. E se calcoliamo l’astensione, scopriamo che solo 17 italiani su 100 hanno votato per lui. La Lega avanza in una delle regioni più ricche del mondo (il Nord d’Italia: 20 milioni di abitanti) mentre la Campania e la Calabria ritornano sotto il pieno controllo di forze senza volto.

Sono cose che dovrebbero spingere a pensare la politica, non come la «tabula rasa» di ogni ideologia, ma come invece è: un problema di idee di visione del futuro di impegno morale. Le solite chiacchiere di un vecchio comunista? Forse. In realtà stiamo assistendo a qualcosa che era in atto da tempo (vedi gli inutili articoli di Alfredo Reichlin) ma che configura ormai una sorta di cambiamento in diretta della fisionomia storica e culturale del Paese che abitiamo. Quindi la domanda che le cose rivolgono alla politica e ai partiti compreso il nostro, è chiara: dove pensiamo di riposizionare l’Italia, non come singole regioni (i famosi «territori») ma come organismo vivente capace di tenere insieme veneti e calabresi?


Esattamente la domanda che Galli Della Loggia ha posto alla Lega: riuscirà questo partito di Bossi a trasformarsi in una forza in grado di elaborare una prospettiva non solo «padana» ma nazionale? Forse se questa domanda, alla quale la Lega non è assolutamente in grado di rispondere, ce la ponessimo noi, potremmo – dico forse – assistere al miracolo: i capi di questo partito che smettono di piangersi addosso e che cominciano a tirarsi su i pantaloni per discutere tra loro, non sul chi comanda, ma sul fatto che una grande prateria si è aperta davanti a noi: la necessità di elaborare una nuova «idea nazionale». Non è poco ma questo bisogna fare. E farlo con la serietà e l’umiltà di chi sa che nessuno ha già le risposte e che queste vanno ricercate insieme, formando cioè un «gruppo dirigente», plurale ma coeso perché consapevole della missione che gli è capitata addosso.

Vogliamo davvero ritornare alla politica come impegno morale? Questa è la strada. Non bastano le poesie di Niki Vendola. Ci vogliono idee. Ecco ciò che voglio dire in sostanza ai giovani. Fatevi avanti, ma tirate fuori qualche idea forte oltre al certificato di nascita. La storia non ci dice che età avesse Giolitti al suo avvento, ma ricorda che idee mise in campo: riconobbe i diritti del mondo del lavoro, concesse il suffragio universale maschile, riformò il vecchio Stato sabaudo e reazionario. Del resto anche Berlusconi vinse dieci anni fa sulla base di idee nuove, sia pure perverse, sulla società degli individui e sulla sostanza del potere. Il paradosso attuale è che tutti invocano svolte, rinnovamento, addirittura «papi stranieri» (i quali sotto la regia di Ezio Mauro dovrebbero prendere in mano il Pd) ma non dicono dove stia il banco di prova di questo famoso rinnovamento.

Sta qui, cari amici. Sta nello scenario storico italiano davvero nuovo e denso di interrogativi inediti che il voto ha spalancato davanti ai nostri occhi. Dunque è qui dove si fissa finalmente in modo chiarissimo l’asticella dell’alternativa. Molta chiacchiera «riformista» di questi anni è alle nostre spalle. L’alternativa si fissa qui, dove è tornato in gioco l’assetto dello Stato repubblicano definito dalla mia generazione a prezzo di molto sangue e molti sacrifici. Non è affatto inevitabile la rottura dello Stato. Ma le ragioni dell’unità nazionale devono essere rielaborate, e ciò in un più stretto rapporto con l’Europa e col mondo. Forse un assetto federalistico è ormai inevitabile. Ma se si slabbra il tessuto della nazione saranno i diritti democratici e quelli dei più deboli a pagare.

(Alfredo Reichlin, L’Unità, 7 aprile 2010)

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Ci voleva un ottantenne.


Trovato grazie a Knut

6 thoughts on “il punto, esattamente

  1. Bello, davvero. Ma come dice lui stesso, la loro generazione definì  "l'assetto dello Stato repubblicano a prezzo di sangue e sacrifici"! Riusciremo noi a fare altrettanto, a prevalere sulle "forze senza volto", a recuperare un'egemonia simbolico-culturale (che altro è altrimenti una "nuova «idea nazionale»"?) evitando una guerra civile? L'idea, per non essere bieca/mera ideologia, deve incarnarsi nel più profondo delle fibre della carne, ma quale motivo e impellenza dovrebbe radicare le idee necessarie in chi ha dalla sua il certificato di nascita, al punto da divenirne la sostanza stessa del processo di soggettivazione? Esiste davvero una configurazione di eventi e realtà che arrivi a produrre tale svolta antropologica? Che ci dia quello che è un vero e proprio "uomo nuovo"? Mi pare i segnali vadano in direzioni affatto divergenti e la terra, di fronte a noi, è davvero desolata…

    p.s. essendo la prima volta che mi manifesto mi sento di fare i complimenti per la qualità dei post di questo blog che seguo da molto.

  2. Si l'avevo notato anch'io quest'articolo di Reichlin e mi trova abbastanza d'accordo. Senonché, mi pare avanzi una critica e ponga un problema senza additare soluzioni, il che non è il minore dei vizi del nostro argomentare a sinistra.

    Quando poi dice che bisogna tirar fuori le idee, che i giovani devono farsi avanti e che le poesie di Vendola non bastano, mi pare trascuri l'ermetica chiusura dei dirigenti del suo partito a tutto quanto non provenga da un conformismo sfrenato alla loro ideologia piuttosto ambigua.

    Infine, come si fa a pronunciare le parole 'identità nazionale' senza far cenno al fatto che si è consegnato il controllo dell'informazione e quindi della cultura popolare nelle mani di un intrallazzatore di estrema destra senza ricevere niente in cambio (niente almeno che si sappia)?

    Insomma, ogni volta che odo i dirigenti del PD mi sorgono dubbi non da poco sulla loro trasparenza, dubbi che non trovano alcuna risposta argomentata, se si escludono il "no comment", l'aggressione da parte della base militante, o l'allusione fumogena al populismo di Beppe Grillo.

    Mi piacerebbe incontrare un giorno un militante democratico informato, che sappia aiutarmi con parole sue a rimuovere questi dubbi.

  3. be', considera che il signore è del 1925. il fatto che indichi con lucidità il punto (non la sommatoria di buoni spunti di programma, ma un nuovo progetto-paese, la necessità di un nuovo patto di cittadinanza e solidarietà che deve trovar un suo cardine), che chieda cioè di pensare in grande, di costruire nuova ideologia, se vogliamo, e non un bric a brac di soluzioni estemporanee dettate da buonsenso, buonismo o modernismi vari, e che dica che solo a questa altezza si sta al livello della fase – e si ha qualcosa di sensato da dire a chi è sedotto dal comunitarismo identitario o dall'individualismo criminale, invece che limitarsi a fargli la morale e a lamentarsi di quanto è brutto il paese –  a me pare già tanto. poi non è lui che deve costruire. immagino abbia già dato.

    (ps. @antichilibri: grazie)

    bg

  4. Il vantaggio del semplificare i problemi per riuscire anche solo ad immaginare delle soluzioni sta tutto nel fatto che la parzialità della prospettiva rende inapplicabile la proposta e quindi indimostrabile la sua fallibilità.

  5. Minipippa fantapolitica
    Tempo fa avevo scritto da qualche parte che mutuando dal gergo aziendale con le dovute cautele, un partito dovrebbe avere (come tutte le organizzazioni complesse) tre "cose" fondanti che lo rendono funzionante.
    – visione: dove si vuole andare, che poi è l'oggetto dell'articolo-
    missione: le dichiarazioni statutarie di identità e principio ("noi siamo quelli che perseguono uguaglianza, giustizia sociale, libertà, giustizia etc etc")
    – leadership: la guida dell'organizzazione, conferita tramite primarie congressi…

    la nuova «idea nazionale» è appunto la visione mancante.

    Attualmente, nessuno dei grandi partiti italiani ha una visione, il modo di pensare e di agire è quello di un grosso condominio: si pagano le bollette, si aggiusta il cancello elettrico, si litiga sulla munnizza. Il primo che ne individuasse una mostrando di sapere come raggiungerla per esempio con esperimenti di amministrazione locale, potrebbe rivoluzionare il Paese in pochi anni.  Il primo a elaborarne una potrebbe essere guidato da Montezemolo, che per l'appunto proviene dal mondo aziendale e ho il sospetto che voglia provarci per vedere l'effetto che fa.

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