requie

 

Affonda la mano nel nido del serpente
senza ritrarla, scambia il tuo veleno col suo.

Nel buio non porti la chiave a stella, solo
il talismano che tieni sul cuore quando

precipitano i giorni e il sangue impallidisce.
L’animale docile non scampa la scarica che brucia

il lungo giorno della stalla, il pensiero sedato
lungamente che ritorna sotto forma di tragedia

privata, la morte di un parente stretto, l’incubo
del cancro, l’ansia che toglie il respiro

e fa il vuoto intorno, l’imbarazzo dei presenti
che cercano le scale mobili e infine

la salvezza tentata nella trafila delle cose minute
la sequenza dei treni, gli orari, il meccanismo

a scatto del telefono che funziona ancora per un poco.

 

venerazione

Salendo la rampa mobile
apparizioni a livello suolo
i piedi ben calzati a ritmo
sulle scanalature di metallo
sul marciapiede la mano del padre
dice aspetta quel faro si avvicina
ubbidiente il cappottino rosa
poi sei rintocchi invadono l’aria
appare un villaggio
la vallata si intuisce appena
nella bruma poi la frana
d’asfalto sotto di me,
il caffè del mattino dentro di me.

checkpoint

*
All’inizio e alla fine della vita i secondini
dell’aldilà, cani da guardia. Nel mezzo un ossequio
formale. Su tutto il resto regnano gli affari.
Per fortuna le truppe agli angoli del mondo
sono ben armate, non sparano confetti d’acqua
santa e se ti azzardi a entrare nel giardino
c’è il gabbio. Aspirine solo ai bambini buoni.

*
La macchina delle buone intenzioni è avviata.
Come risplende sul confine l’arcobaleno
delle sparatorie. Milita in un’armata
e ti faranno marciare. La madre piange sincera come
a Vermicino la trama perfetta che ha chiuso
il corpo in un camino.
Dio è dentro di lei, l’abominio sugli altri.

come ritrovarci: istruzioni

*

Dovresti restringere lo sguardo agli oggetti minuti
all’individuale scartando il generale
proprio a questo labbro singolare, allo spazio
tra le ciglia, fare fuoco
su questa scanalatura nella maniglia
non sulla pietraia ma sulla limatura che resta
sul palmo della mano dall’unico sasso caduto
lontano, scalare ordini di grandezza
nell’acceleratore dello sguardo
fino alla vetta puntuta, allo spazio
tra le particelle, al filo
rotto che sporge dal tessuto
il solo maneggiabile il solo ancora muto
(oppure alzi lo sguardo all’astratto, al siderale?)
in ogni caso fuggi dalla mia taglia
qui nella mia misura
non conosce tregua l’incontro
tra il pro e il contro
il resoconto di una natura
infame sempre indecisa
tra l’idiozia e l’abiura.


**

Puoi rintracciarmi da un inventario di gesti ritornanti
prevedere il prossimo incontro orbitale in base a proiezioni
e calcoli e con quelli ricostruirmi pezzo a pezzo
mentre cadiamo verso l’atteso rendez-vous:
la limonata frizzante da un euro e cinquanta nella mano
rotolata dal flipper-distributore
mentre cammino nella calca della stazione, ore 18,35
l’ombra immaginaria come di corpo svaporato a hiroshima
stampata sul penultimo palo della banchina, ore 7.40
il terzo solitario tavolo da destra su cui posato troverai
il giornale di oggi, in sosta, ore 13,10
e una brioche, una al giorno, che aspetta nel vassoio dietro la vetrina
lì dentro i suoni arrivano ovattati anche stamattina (ore 8.35)
e se contassi
tutte le torve sorelle che aspettano, una al giorno, sapresti
in quale giorno non dovrai più aspettarmi al varco.

lucertole d’ombra

        Percorrevamo il deserto dei corridoi
        portandovi l’eccezione dello sguardo
        (poi la lotta furiosa, isolata, contro la mano
        orrenda che afferra alla caviglia).

        Fuori il sole infuoca le pietre e col tempo
        le spezza, si aprono inudite, senza dolore.
        La vastità spopolata scava le opinioni e le svuota.
        Quanto al dilemma etico (la mano deve colpire o ritrarsi?)
        il bambino Ludovico a quattro anni l’ha tutto esaurito.
        Sui gradini lo scheletro della lucertola spolpata
        ripulito da una notte di lavoro, l’architettura di sabbia
        rappresa della mandibola sul punto di sbriciolarsi.

        Le formiche, dicono, erediteranno la terra
        avendo il numero dalla loro parte.
        Non è chiaro se l’abisso potrà dirsi
        a quel punto abitato da schiere.

tre e quattro


יִצְחָק

Appare nei momenti di sosta, in particolare,
di sonno e le tue membra, il tuo volto soprattutto
diventano un mistero.

Non conosco la nave che ti ha deposto alieno
che mi somigli e non sei me, nella casa di un vecchio
che non smette gioia e terrore.

Il verso del mondo è sconosciuto, così divieni in silenzio
ti apri, strappato tra grida sangue ruoti
e riposi ardi nel tuo fuoco.

la ferita

Com’è sceso appena sveglio questo velo
sul volto, come puoi saperlo così nuovo come sei.

Non è il furore della bestiola che mulina gambe
e braccia, la volontà cieca dell’anguilla.

Sei calmo, un’ombra ti percorre in trasparenza
(sulla volta un’incrinatura si è appena staccata).

Nello specchio il mondo trema ancora, sono molli
le colline del costato, dai tuoi palmi fili d’erba.

Ma per poco. Lentamente nel corpo cammina
la luce del giorno: le cose non sei tu

e in questa conquista, in questa perdita ti afferri.
Ti scopri e subito limiti, cose perdute intorno.

uno (è) due

uno

Per non svegliarti poso
i rumori dentro i rumori
il cigolio del letto che ti scuote
nella scia di un’automobile
passata. Un gioco di dentro
e fuori che ci descrive bene
tu parte di me, la migliore
mio cuore, io seme di te
che ti allontani in fuori.


due

Nel sonno tocchi la mia mano
come una cosa o un gioco,
così leggi col dito
l’interminabile giro dell’asola
il bordo ammirevole del bottone
dormendo colpisci col piede
la sponda, fai leva
rimbalzi.
Cerchi consolazione o un limite
che ti restituisca a te
via dall’abisso.
Ma anche il gioco, il bottone
la tua mano spinge via dal nulla
anche la mia mano
(così crescono
in sogno l’una intrecciata
nell’altra e distanti le cose).

uno (è) due

uno

Per non svegliarti poso
i rumori dentro i rumori
il cigolio del letto che ti scuote
nella scia di un’automobile
passata. Un gioco di dentro
e fuori che ci descrive bene
tu parte di me, la migliore
mio cuore, io seme di te
che ti allontani in fuori.


due

Nel sonno tocchi la mia mano
come una cosa o un gioco,
così leggi col dito
l’interminabile giro dell’asola
il bordo ammirevole del bottone
dormendo colpisci col piede
la sponda, fai leva
rimbalzi.
Cerchi consolazione o un limite
che ti restituisca a te
via dall’abisso.
Ma anche il gioco, il bottone
la tua mano spinge via dal nulla
anche la mia mano
(così crescono
in sogno l’una intrecciata
nell’altra e distanti le cose).