conflitto di disinteresse

Il conflitto di interessi non interessa, pare, agli italiani. Quindi, perché non approfittarne?

«Mercoledì scorso il Senato ha approvato in via definitiva il cosiddetto decreto incentivi. Un pacchetto-omnibus nel quale c’è di tutto: dal raddoppio degli incentivi per l’auto ai bonus per gli elettrodomestici. Nel gigantesco garbuglio sono stati infilati un paio di articoli che prevedono "strumenti di difesa del controllo azionario delle società da manovre speculative", e introducono misure volte a prevenire "eventi di scalate ostili in una fase di mercato caratterizzato da corsi azionari molto al di sotto della media degli ultimi anni.»

Secondo voi, quale società ricollegabile al Presidente del Consiglio beneficerà di tali norme antiscalata?

Repubblica, Ciwati

politica, lobby, interesse comune

«Abbiamo deciso di procrastinare di un altro anno l’adozione delle norme antisismiche pronte dal 2003 accogliendo le richieste di ingegneri e imprenditori che chiedevano più tempo per adeguarsi alle nuove regole.»
Gabriele Boscetto, senatore, 9 aprile 2009.

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Forse uno dei compiti più urgenti che una politica che continuo per nostalgia, pigrizia e formazione a chiamare di sinistra ha di fronte, è la ridefinizione dell’idea stessa di un interesse comune, dopo che la tradizione eroica (e disperata) che l’ha cercato nel "non abbiamo altro da perdere se non le nostre catene" è tramontata, lasciando gli eredi in balìa dei venti di sottocosta e incapaci di rendere il largo.

Di certo il comune non può essere infatti una media aritmetica degli interessi contrapposti, un "ma anche" riconciliato prima del tempo: deve comportare una scelta. E questa scelta non può nemmeno essere frutto della strategia che oggi abbiamo perfettamente sotto gli occhi nei suoi effetti devastanti, che siano tifoni finanziari o macerie malcostruite: la lotta delle lobby contrapposte per guadagnarsi la disponibilità condiscendente del potere decisionale democraticamente eletto, quando non il potere stesso, al di fuori di ogni credibile controllo di chi lo ha eletto.

Non è un caso, lo si vede bene, che siano ancora le parole di un maestro del pensiero liberale le migliori che abbiamo sottomano, perché è più facile partire da ciò che non siamo, da ciò che non vogliamo.
È possibile infatti che questo comune, per essere e rimanere un "programma minimo", debba collocarsi a livello del bios, della nuda vita, nella proclamazione di indisponibilità e nella rivendicazione di autonomia, sole garanzie di una condivisione liberamente scelta, di una potenza che non si traduce in imperio. Abbiamo tutto da guadagnare, in primo luogo la nostra vita e la nostra libertà comune.

videosciacallo

«Lei ha appena perso suo figlio, cosa prova, parli nel microfono» è un approccio che merita un pugno in faccia, eppure da sempre il pugno non parte, la frase viene formulata proprio così e il malcapitato risponde regolarmente, adeguandosi all’ordine del discorso e del mezzo.

Così, nella vicenda del video che tutti stiamo giustamente segnalando, vero monumento alla caduta di stile, la questione è appunto è se si tratti di un problema di stile e di misura (informare senza scivolare nella morbosità, nel voyeurismo, nella volgarità) o se il problema sia strutturale, irrimediabile, legato com’è al fatto che le notizie sono un mercato, per guadagnare devi venderle e per venderle devi renderle appetibili. Perché ovviamente la deontologia ci protegge – se ti inventi la frase del bambino per farci un titolo sei semplicemente scorretto, oltre che stronzo – ma fino a un certo punto. Se il bambino la frase l’ha detta davvero, perché non farci un titolo?
E se il titolo ti fa vendere, perché non dirlo? Lo spacciatore crea un bisogno o lo soddisfa? E chi decide quali bisogni sono belli e quali esecrabili? Tracciate il confine tra colpevole e innocente, se ci riuscite.

Siccome il problema come sempre sono i soldi, ecco invece un’altra posizione che ci aiuta a riflettere meglio, spostando il problema dall’estetico all’etico, cioè ai mezzi di sussistenza (ethos = il posto da vivere). Sostiene Luca Nobile:

Nell’ottica della rete, ai trafficanti di disgrazie e venditori di lutti altrui non si può che rispondere con una domanda (la stessa in fondo che Luther Blissett formulava 14 anni fa):
Con quale diritto vendete agli inserzionisti l’attenzione che i volti, le vite, gli affetti, le città distrutte della popolazione abruzzese suscitano nel pubblico? Con quale diritto, cioè, vendete una cosa non vostra, che non avete prodotto voi? Giacché voi non siete che gli intermediari (i "media") di un’attenzione prodotta altrove e da altri (in questo caso, da un fenomeno naturale e da una popolazione). Perché dunque gli enormi proventi della pubblicità che affiancate alle notizie del terremoto, non li condividete con le persone e con gli ambienti che hanno prodotto quei fatti in originale, prima che voi ne diffondeste delle copie fotografiche o audiovisive accompagnate da commenti?
Questa in fondo è la domanda vera che la rete ha aperto. E cioè, in generale: se la produzione è perfettamente sociale, perché il reddito è perfettamente privato? Forse, nella risposta a questa domanda sta anche un pezzetto della risposta alla crisi.

Lingua di terra

il lungo sogno italiano

il contrario di liberale

La proposta politica di Berlusconi, al contrario, è che la sua stessa persona, il suo stesso corpo – trasfigurato dall’apoteosi mediatica e virtuale – realizza la fusione dell’Uno con i Molti, attraverso l’Amore. Non è rappresentanza questa, ma rappresentazione, a metà tra la mistica religiosa e la teatralità: il Corpo mistico del Capo – che è al tempo stesso re e popolo – è la vivente e concreta figura di una moltitudine che in lui vede rappresentare se stessa, che in lui ama se stessa.

Carlo Galli, filosofo della politica di cui lessi anni fa l’ottimo Spazi politici, con un puntuale articolo su Repubblica di oggi mi risparmia di scrivere il capitolo principale della pregevole opera I protagonisti della politica, di cui avrete senz’altro sentito parlare e che viene distribuita gratuitamente in edicola con il giornalino La Pimpa (in abbinata anche due copie d’epoca dell’enciclopedia per ragazzi Conoscere.)

L’articolo va letto tutto. Il fatto che Galli metta al centro della sua analisi proprio "il corpo" di Berlusconi (tra parentesi: che brutte immagini che suscita) è, perdonate la nota personale, un vero boost dell’autostima, come si dice ai piani alti.

i protagonisti ecc: gianfranco fini reprise

Memore dei comportamenti di Casini quando rivesti il suo stesso ruolo istituzionale e lo usò come copertura, Fini ha capito che quando sei più debole c’è una tattica che in politica, come in guerra, conviene attuare: cacare il cazzo. Quando tutti sono fermi, tu muoviti. Quando si muovono, nasconditi. Colpisci dove fa male e poi sparisci. Spiazza l’avversario troppo grosso e lento e sicuro di sé. Cammina leggero e con poca truppa per arrivare prima e lì piazza le mine. Se hai fatto bene i calcoli del percorso, a quel punto li avrai in pugno.
Lui sta facendo sul serio.
La strategia generale è quella già detta qui.
L’esito è ovviamente molto molto incerto.