la nostra cultura, le nostre tradizioni

Dal blog "Desio in Padania, il blog gestito dal Movimento Giovani Padani di Desio" (provincia di Monza e Brianza).

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Arriva da San Giorgio (frazione di Desio, ndr) una notizia alquanto sconvolgente: alla scuola elementare – che ho avuto io stesso la gioia di frequentare – non si sceglie più di raccontare ai bambini le tradizioni della Brianza, di insegnargli la nostra lingua né le nostre ricorrenze. É arrivata bensì la fantastica idea di far cimentare gli alunni nello sport nazionale del Pakistan: il cricket.
Come si può leggere su Il Cittadino, sarà un’iniziativa che coinvolgerà la scuola per 10 settimane consecutive, permettendo di “valorizzare la cultura di questo paese” e fornendo “un’occasione di crescita ed arricchimento”, come sostengono gli insegnanti. Ad occuparsi dell’insegnamento saranno due esperti del settore, che sicuramente – si spera – avranno le qualifiche per poter insegnare in una scuola, sia sportive che di sicurezza. I loro nomi sono Sarfaz Ahmad e Shahef Mehmood, rappresentanti della comunità pakistana della città. Non intendiamo assolutamente mettere in dubbio l’indiscussa professionalità, quanto ci preme riflettere sulla lenta ma devastante sparizione delle nostre tradizioni, in quanto anche la scuola stessa le snobba, preferendo loro esotiche attività sportive.
In secondo luogo, se è integrazione quella che noi vorremmo ci fosse, e non un violento scontro tra culture, in cui una soccombe lasciando spazio all’altra, allora non si sarebbero dovute impartire lezioni di cricket, bensì insegnare agli alunni il dialetto e le tradizioni brianzole: è preoccupante che i bambini della “nuova Brianza” conoscano come si declinino parole del gergo sportivo pakistano, e magari non sappiano il significato di papurott o non abbiamo mai giocato alla lippa.
E mentre vediamo sparire all’orizzonte la nostra cultura, facciamo di tutto per allontanarcene anche noi, quasi fosse una vergogna da mascherare. Ma qui, l’unica vergogna è leggere con i nostri occhi queste notizie.
Fabio Molinari (candidato Lega Nord – Desio)

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Di cosa vogliamo parlare?





Nella foto, un atleta della nazionale pakistana di cricket gioisce alla notizia della conquista culturale della Brianza da parte di Islamabad.

(nota: alle ultime politiche, la Lega a Desio ha preso il 20,45%, il PDL il 36,95%; il PD il 26,52%)

repubblica vs. google

Il punto nella questione Google vs. giustizia italiana, probabilmente, non è il rischio di censura, quanto la certezza dell’incompetenza generalizzata. Censurare è un affare complicato, in rete addirittura molto complicato; ci vuole determinazione, volontà politica e coesione sociale, ampi margini di manovra e, appunto, competenza. Onestamente l’Italia mi pare poco attrezzata. Non siamo fatti per la tragedia, la nostra aspirazione è arrivare subito alla farsa. E quindi: l’incompetenza. Di quella ne abbiamo tanta da poterla esportare. E alle volte può dare una mano là dove la mano del padrone non riesce ad arrivare.

Il pezzo di Valentini cui Repubblica si affida oggi per commentare il fatto è un buon esempio di questa “intelligenza col nemico” (si fa per dire), uno di quegli articoli pensosi e finto-problematici che, con l’aria di instillare fondamentali dubbi nella testa del lettore, mascherano la forte brezza che tira nella testa dell’articolista.

Ecco una breve sinossi.

1) Chiarito che l’informazione in rete è “immediata” (eh, la fretta di questi tempi moderni), spiegato che la sentenza scagiona Google dal reato di diffamazione – non c’è omesso controllo, reato previsto per la stampa – ma non dalla violazione della privacy, Valentini non si chiede, come farebbe un essere ragionevole ancorché disinformato, come e in quali termini l’una cosa possa procedere assieme all’altra. Nemmeno alza il telefono per domandare consiglio al collega Zambardino, come farebbe un giornalista. No. Avanza spedito come un sol’uomo e infila una dietro l’altra una serie di amenità che manco mia nonna.

2) Google non è un giornale e non va assimilato a un giornale (e fin qui).

3) Internet (ma non stavamo parlando di Google?) è tumultuosa, anarchica, libertaria e (giuro) trasgressiva (ommadonna!).

4) Eh, ma ragazzi, ci sono anche delle regole! (siete proprio simpatici coi vostri balli scatenati, come si chiama? twist? però adesso c’è da ripulire il soggiorno e mi raccomando: silenzio quando andate a letto, che poi si sveglia nonna).

5) Proprio nell’interesse di Internet (aridaje) che è libera e creativa (eh?) occorre rivendicare il principio di responsabilità (sì ma quello nessuno lo nega e soprattutto è personale, Valentini! Di chi commette  il reato. Se costruisco un muro e tu scrivi scemo chi legge, non è mica colpa della Calcestruzzi Associati*).

6) La libertà mia finisce dove comincia la libertà tua (che è pur sempre una bella frase da scrivere, un po’ come l’amore non è bello se non è litigarello).

7) È così vero tutto ciò, che i vertici di Google si sono premurati di togliere il video una volta venuti a conoscenza del suo contenuto (eh, appunto. Questo non ti dice niente? Di cosa stai parlando?).

In prima pagina di Repubblica, giornale fieramente schierato contro le politiche del governo.
È un mondo meraviglioso.
update
* riguardo al reato di violazione della privacy, attendiamo le motivazioni della sentenza, anche se… Un’altra opinione qui.

altro update

in questa discussione viene formulata un’ipotesi interessante. Per far quadrare l’assoluzione dal reato di diffamazione e la condanna per violazione della privacy, può darsi che ci si riferisca non alle responsabilità tipiche di una testata giornalistica, ma alle condizioni d’uso in essere all’epoca del fatto, nelle quali Google si autoattribuiva la responsabilità del controllo dei contenuti (quindi sarebbe colpevole in rapporto alle proprie stesse condizioni d’uso, e non in quanto fornitore di servizi). Condizioni d’uso oggi del tutto cambiate, ovviamente, a seguito dell’enorme espansione del servizio. Praticamente un cavillo e una tempesta in un bicchier d’acqua. Ma se così fosse, allora le questioni “censura” sarebbero derubricate (come sospettavo qua sopra): non c’è intento censorio ma solo una questione ipertecnica riguardante il passato. Per onestà va detto che anche la questione “i fornitori non possono controllare tutto”, su cui avevo fatto un post ieri, sarebbe in realtà incongrua, per lo stesso motivo. Va da sé che la questione “quei birbantelli di internet devono accettare qualche regola”, che è il modo in cui la mette Valentini, ottiene il maggior punteggio nella classifica delle puttanate.

il giudice di bananas

Dirigenti di Google sono stati condannati da un tribunale italiano per un filmato inserito da un utente e in seguito cancellato da Google Video.

Sono attese a breve le sentenze contro:
– la guida del telefono di Reggio Calabria per la presenza di noti malavitosi nei suoi elenchi;
– Nokia e, in contumacia, Antonio Meucci, per le conversazioni intercettate sulle utenze telefoniche degli amici di Bertolaso;
– centotrentasei responsabili di aziende di costruzione per imbrattamento dei muri da loro stessi costruiti;
– il fiume Lambro per il reato di inquinamento delle acque;
– il citofono di Jack lo squartatore.

vedi anche zambardino.

minimo comune multiplo

Riepilogando una stagione di inchieste e scandali: quelli di centrodestra incappano in beghe di soldi e affari, quelli di centrosinistra in faccende di lenzuola. Il che conferma la profonda adeguatezza, anzi la missione cosmico-storica del nostro premier, che unisce in sé tutte le più profonde aspirazioni del Paese.

via padova, colpevoli e ignavi

«Con chi se la prenderanno adesso lady Moratti, il suo vice-sindaco sceriffo De Corato e il focoso leghista Salvini?»

Il pezzo di Lerner sui fatti di via Padova è condivisibile. La destra governa Milano da diciassette anni e non ha mai allestito in loco mezza politica di integrazione, anzi ha cavalcato contemporaneamente il laissez-faire e l’allarme sociale. E mo’ sono guai suoi. (Non so se condividere l’ottimismo di Lerner circa la capacità dei cittadini di attribuire le esatte responsabilità).

Per essere perfetto, forse, il pezzo di Lerner dovrebbe anche ricordare che, quando in questi anni è stata al governo centrale, la sinistra non ha fatto molto in tema di politiche di integrazione, anzi diciamo pure niente. Ma è pur vero che a Milano può vantare il più classico degli alibi: dal secolo scorso non c’era, e se c’era dormiva.