la dura verità

2.
Divenuto adulto, l’uomo si accorge in breve tempo che per quanto riguarda la verità le cose stanno diversamente e di molto: egli è l’unico a quanto pare a portare in testa il segno dell’antica collisione. Interrogati a riprova alcuni passanti durante lo svolgimento di una gara podistica cittadina intorno alla natura contundente e manesca di quella sostanza a lui così familiare, tutti indistintamente si limitano a osservare l’uomo con sguardo preoccupato, facendo poi cenno di allontanarsi di un paio di passi, per prudenza. La scena si ripete uguale molte volte, tranne per alcune varianti in cui un ombrello e qualche piccola borsa di pelle animale colma in modo irreale di oggetti ignoti ma singolarmente granitici si trovano a sostituire il flusso verbale, ma in direzione contraria. L’uomo tende a imparare dai propri errori specie se corredati da una quota di dolore fisico; non diversamente dal caso generale, quello particolare giunge in fretta a una conclusione: finora egli aveva creduto che tutti se ne dessero per intesi e come non si sta a questionare sull’esistenza dei nasi o del didietro, anche la verità andasse sotto silenzio per troppa manifestazione. Un grave errore: la faccenda stava – e sta, a dire il vero – proprio al contrario, l’ignoranza sul punto è addirittura universale! Che curiosa situazione, pensa l’uomo: un oggetto così consistente che diventa invisibile. E lui che pare l’unico vedente, poi! Come si spiega? E come rendere visibile l’invisibile? Cioè, come rendere evidente l’evidenza, evidentemente non così evidente? Che imbroglio… Le parole sono così deboli, e pure loro invisibili. Saranno dure a sufficienza per lasciare segni certi sulla testa altrui? Massaggiandosi un doloso e recente rialzo occipitale, l’uomo si scopre a nutrire qualche dubbio circa la gratitudine del mondo.

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