azionisti di riferimento

“Sono trent’anni – confida un vecchio comunista passato con poca convinzione al Pd – che in quel gruppo editoriale domina un’ideologia capace di fagocitare anche i più elementari dati di realtà, pur di restare fedele al suo obiettivo: sradicare quel ceppo della cultura italiana che viene dal Pci. Finché non saremo azzerati non avranno pace, e per farci fuori va bene tutto. Perfino la Serracchiani”.

leggi tutto: Francesco Cundari, I cazzotti di Repubblica

lepri-anatre e paralumi

Tre poesie da Disturbi del sistema binario, di Valerio Magrelli.

Un giorno feci questo esperimento.
Provai a mettere un’anatra di fronte
alle azioni compiute dalla lepre,
e poi la tenni ferma.
Fu come inserire un chiodo nella presa:
una vampata, e se ne andò la luce.
Negava. Tentai ancora. Sempre uguale.
C’è un relais, in quei disegni,
che non consente loro alcun passaggio
da un lato all’altro della prospettiva.
Per questo certe lepri sono in grado
di fare paralumi in pelle umana,
mentre l’inconsapevole anatra
volge il viso.

***

Dormo accanto a mio figlio.
È un letto di fortuna e lui mi ha accettato,
sia pure a malincuore. Così lo sento
a fianco, che sospira pesante,
stuoino di spuma, intreccio di bave,
telaio d’amore filato per quasi quindici anni.
Tremendo nella violenza che spavaldo esibisce,
insulti, offese come tiepida malta
per costruire il suo sé,
e la bestemmia come un Babbo Natale
cui lui stesso non crede, l’implume,
ma che gli serve a regalarsi questa
smarrita corazza di piume.

***

Creature biforcate e logo-immuni
mi sorsero davanti,
invulnerabili alla verità.
Ero entrato nell’era dell’anatra-lepre,
in una età del ferro, del silenzio.

***

marciare divisi e perdere tutti assieme

Tratto dal blog di Andrea Mollica, ecco uno degli ultimi sondaggi per le elezioni europee.

PDL 40,8
LN 8,5
PA 2,2
PD 26,1
IDV 7,5
PR 1,1
UDC 4,8
Com 3,1
SL 3,5
Altri 2,4

I dati disegnano uno scenario in realtà piuttosto noto, che non muterebbe se le percentuali fossero un poco diverse.

Il centrodestra raccoglie circa la metà del consenso elettorale e lo fa con due soli partiti: PDL e Lega. La restante quasi-metà del consenso elettorale, tolta una quota residuale di non allineati di destra (Storace), sta a "sinistra" di PDL e Lega, ma si compone di sei partiti nessuno dei quali alleato con qualcuno degli altri.

L’esperienza del passato evidenzia tre questioni piuttosto ovvie:

1) quando il "centrosinistra" (anche senza la recente variabile UDC) si presenta alle elezioni unito, è in grado di contrastare efficacemente il centrodestra in termini numerici.


2) Quando riesce a presentarsi unito alle elezioni e magari anche a vincere, il centrosinistra regolarmente si spacca durante la legislatura successiva a causa dell’assenza di un reale collante politico costituito da un progetto strategico comune.


3) Il centrodestra è riuscito a costruire la propria unità sulla base di un progetto politico, per quanto raccogliticcio e aiutato da circostanze favorevoli (la fuoriuscita dell’UDC, l’esistenza di Berlusconi). Il centrosinistra continua ad affidarsi, invece, o a soluzioni ingegneristiche che passano attraverso la riformulazione dei meccanismi elettorali (maggioritario, premi di maggioranza, referendum), pensando che quello che non si ottiene politicamente lo si possa ottenere per via tecnica, eliminando gli alleati: un’idea piuttosto primitiva che in 15 anni non ha portato alcun risultato. O viceversa persegue l’unità per via di tatticismi e accordi di basso profilo, spesso in chiave "anti" piuttosto che "per", con esiti sempre catastrofici quanto alla tenuta delle alleanze così costruite.

Quello che ne deduco, da osservatore non particolarmente acuto e solo a un livello formale, è che l’eclisse del centrosinistra durerà finché non emergeranno, contestualmente, una leadership e un progetto politico in grado di rappresentare per le forze sparse a sinistra del blocco PDL+Lega – o in alternativa per i loro elettori! – una prospettica strategica comune di lungo periodo. Cioè, non solo un accordo tattico, ma un’alleanza sulla base di un progetto di società.

Sarebbe stato piuttosto logico aspettarsi che una simile iniziativa partisse dal soggetto numericamente più grande, il PD, se non altro perché quello che può apparire un limite, la varietà di posizioni interne che una grande stazza porta con sé, in questi casi può valere come risorsa.
Osservando i vari posizionamenti in vista del prossimo congresso, purtroppo, non sembra al momento un’ipotesi molto credibile. Né Franceschini, né Bersani, né Letta appaiono possedere il profilo di "leader nazionale" in grado di federare in modo stabile la loro parte e le loro visioni strategiche appaiono piuttosto inadeguate, quando vi sono.

fare politica in rete, ma fuori

«Gli ho chiesto cosa sarebbe accaduto se avessimo perso, e lui mi ha risposto che l’importante era la campagna elettorale, che l’obiettivo era quello di migliorare il processo politico nel Paese, di coinvolgere la gente. Mi spiegò che voleva costruire una relazione con i suoi sostenitori e che anche tra di loro nascesse una relazione. (…) Il web ci ha dato modo di avere più gente nelle strade, più sostenitori che hanno fisicamente bussato a un numero molto maggiore di porte e parlato davvero a un numero molto più grande di persone. Il nostro obiettivo non era quello di trasmettere un messaggio dal vertice alla base in modo nuovo, ma quello di creare, come voleva Obama, una relazione con i supporter e dei supporter tra loro, mettere le persone al lavoro, non con gli ordini, ma con gli stimoli, dando ad ognuno tutto il materiale necessario online affinché ognuno si sentisse libero di fare quello che sapeva fare meglio. Nei nostri video, nei nostri messaggi, Barack Obama appariva poco, il nostro messaggio non era "votate Obama" ma "fate sentire la vostra voce"».

dall’intervista a Joe Raspars, responsabile della campagna elettorale di Barack Obama per i nuovi media

Uno degli equivoci riguardo all’utilizzo della rete a scopi politico-elettorali sta in un’idea di partenza sbagliata, secondo cui internet servirebbe al più a diffondere il messaggio con "nuovi strumenti". Che poi sarebbero i video semi-amatoriali stile Di Pietro e poco altro: capirai la novità. Dato che non è così, per svariati motivi, dato che, al contrario, altri mezzi sono persino più efficaci per far giungere a destinazione il contenuto emotivo del messaggio, e dato che non siamo in Birmania dove ciò che dice l’opposizione è pressoché sconosciuto a chi utilizzi solo i canali e i media ufficiali (ok, anche qui un po’ ci avviciniamo, ma visto il livello di ciò che l’opposizione dice da noi, quasi quasi è meglio così…), dato tutto ciò, la deduzione ugualmente sbagliata è che la rete sia pressoché inutile per spostare consensi.

La rete è inadatta a costruire centri focali di attenzione, va da sé: è costruita allo scopo contrario! Ed è ovvio che una mera diffusione del messaggio, con testi e video, sposta poco se nasce e muore sul web. Le discussioni intanto fanno cambiare idea alle persone meno di quanto le confermino nella loro idea iniziale, senza contare che un’azione di convincimento "ipnotico" sul modello dello spot elettorale è per principio poco efficace in un luogo dove chiunque la pensi diversamente può intervenire, quasi allo stesso livello del messaggio, per contrastare o smentire o spernacchiare quello che hai appena faticosamente finito di dire tra violini e squilli di tromba.

Tuttavia la rete può essere assai utile in politica, purché lo scopo non sia diffondere il messaggio, cioè aprirsi un sito personale con il proprio faccione e il curriculum in bella vista, o un blog in cui si parla al popolo per fargli giungere il proprio fondamentale e altrimenti introvabile progetto politico… quanto piuttosto a) creare una relazione tra chi si propone e chi lo potrebbe supportare, b) tra coloro che lo supportano tra di loro, c) infine tra chi lo supporta e chi è effettivamente destinatario di un "messaggio".

Attivare e motivare (o ri-motivare) sia chi è già della tua idea, sia chi lo è diventato da poco, sia chi è già militante, sia chi può diventarlo; fornire loro strumenti agili e leggeri per un’auto-organizzazione operativa efficente – la rete e i social media; attivare queste cellule distribuite e autonome sui vari territori non ultimi quelli "fisici", tipo scampanellare ai vicini di casa per fare campagna, portare volantini, discutere in salotto o fare un banchetto nella piazza del paese.

Un modo inteligente di pensare questo processo anche da noi è di vederlo in sinergia, non in competizione, con le strutture "fisse" di base di cui i partiti dispongono (sezioni, circoli ecc.). Un modello di guerriglia per "commando" ben informati e agili a muoversi nei propri territori da sviluppare durante le campagne, può benissimo convivere con un modello più strutturato, stabile, che costituisce il livello di base dell’organizzazione democratica – cioè dotata di cariche elettive – di un partito. Anzi, i due livelli possono aiutarsi e stimolarsi a vicenda.

Al momento esiste un caso di studio che apparentemente – salvo ulteriori analisi che pesino meglio i vari fattori – ha funzionato, ed è appunto la campagna per Obama.

silvio setting

«E adesso facciamo così: tiriamo una bella riga e facciamo l’addizione in colonna dei volumi di inciviltà, sofferenza, crudeltà e schifezza implicati dalla nostra rassegna. Fatto? Bene, si chiama Italia ed è qui che camperemo e camperanno i nostri. Le prime otto pagine del "Corriere della sera" e le prime cinque di "Repubblica" sono dedicate alla richiesta di divorzio di Veronica Lario.»

Defarge: La patria

un argomento nuovo: i mali della sinistra

Sul suo Quadernino, Francesco la mette giù così:

«Perché alla fine l’origine di tutti i nostri mali, a sinistra, per me sta proprio lì: nell’infatuazione per il “modello americano” e per il bipartitismo, che in Italia si traduce in partiti ridotti a cartelli elettorali senza senso, pura funzione del leader. Un leader, per di più, scelto sempre da altri. Una sorta di democrazia diretta che porta direttamente al berlusconismo e al suo attuale trionfo, sulle macerie di una sinistra senza più casa, senza più un luogo in cui si parli ancora la sua lingua, e da dove si possa in qualche modo ricominciare

Io sono d’accordo, figuriamoci. Perlomeno, questa è la mia posizione prevalente. Anche se forse, dal mio punto di vista, il problema non è nemmeno tanto il "modello", sennò si dà ragione a loro, solo al contrario. Insomma, non è che nel vecchio PCI-PDS-DS, di cui secondo Francesco il fenomeno Zoro rappresenta la nostalgia goliardica e militante – e che peraltro, quando io ero ragazzo, per noialtri giovinastri extraparlamentari era un po’ l’incarnazione stessa della sfiga e noi eravamo l’assalto al cielo e D’Alema era un burocrate nato vecchio, a testimonianza che certe sciocchezze o semitali sono ricorrenti (anche D’Alema però è un po’ troppo ricorrente, va detto) – insomma, scusate gli incisi, non è che allora ci fosse un virtuoso flusso che a partire dalle più remote sezioni giungeva su su fino alla direzione a determinarne linea politica e tattica quotidiana. Non è che funzionasse proprio così, eh. Anzi, per un cazzo, diciamocelo. Decideva chi stava lì. E non è nemmeno che chi stava lì ci arrivasse con la gavetta delle sezioni. Manco per niente. D’Alema stava lì a 20 anni. Per cooptazione, come si fanno crescere i ragazzi di bottega. Solo che, allora, chi stava lì era piuttosto bravino. No, non sempre… Per dire, Natta come segretario era una sciagura. E Mussi? Anche lui stava lì a 20 anni, e Mussi, insomma… eh! Va bene però, ecco: se non eri bravino ti bastava leggere i classici e il gioco era fatto.
A un certo punto i classici: via! Si doveva diventare liberali senza manco passare dalla socialdemocrazia. E insieme si doveva far finta di restare saldamente legati a radici che non esistevano, perché sennò sai il sindacato chi lo sente. Si vivacchia un po’ così. Poi arriva Prodi e lo si digerisce a malapena. Poi arriva Veltroni e fa fuori persino il partito, che perlomeno era rimasto. Buono quello. Uno che vuole fare il partito leggero contro Berlusconi che ha le tv, e tu non sai manco accendere un modem. Ma va, va.
Ora, a ‘sto punto il problema non sono i tarantolati dell’americanismo, il problema è qualcuno con un minimo di idee chiare che dica: noi non siamo liberali, anche se i liberali non sono il male. Non siamo populisti e nazionalisti, che quelli un po’ il male lo sono. Non siamo nemmeno fondamentalisti e razzisti, e quelli sono il male. Noi siamo….. (riempire i puntini, grazie).
E poi fateci le sezioni, le feste, le salamelle, feisbuc, quel cazzo che vi pare e vi gratifica, ma dite cosa diavolo siete. Se no tra un po’ torniamo a votare a sinistra, siete avvertiti.

(ok, era un bluff… e chi votiamo, Diliberia?)