fare politica in rete, ma fuori

«Gli ho chiesto cosa sarebbe accaduto se avessimo perso, e lui mi ha risposto che l’importante era la campagna elettorale, che l’obiettivo era quello di migliorare il processo politico nel Paese, di coinvolgere la gente. Mi spiegò che voleva costruire una relazione con i suoi sostenitori e che anche tra di loro nascesse una relazione. (…) Il web ci ha dato modo di avere più gente nelle strade, più sostenitori che hanno fisicamente bussato a un numero molto maggiore di porte e parlato davvero a un numero molto più grande di persone. Il nostro obiettivo non era quello di trasmettere un messaggio dal vertice alla base in modo nuovo, ma quello di creare, come voleva Obama, una relazione con i supporter e dei supporter tra loro, mettere le persone al lavoro, non con gli ordini, ma con gli stimoli, dando ad ognuno tutto il materiale necessario online affinché ognuno si sentisse libero di fare quello che sapeva fare meglio. Nei nostri video, nei nostri messaggi, Barack Obama appariva poco, il nostro messaggio non era "votate Obama" ma "fate sentire la vostra voce"».

dall’intervista a Joe Raspars, responsabile della campagna elettorale di Barack Obama per i nuovi media

Uno degli equivoci riguardo all’utilizzo della rete a scopi politico-elettorali sta in un’idea di partenza sbagliata, secondo cui internet servirebbe al più a diffondere il messaggio con "nuovi strumenti". Che poi sarebbero i video semi-amatoriali stile Di Pietro e poco altro: capirai la novità. Dato che non è così, per svariati motivi, dato che, al contrario, altri mezzi sono persino più efficaci per far giungere a destinazione il contenuto emotivo del messaggio, e dato che non siamo in Birmania dove ciò che dice l’opposizione è pressoché sconosciuto a chi utilizzi solo i canali e i media ufficiali (ok, anche qui un po’ ci avviciniamo, ma visto il livello di ciò che l’opposizione dice da noi, quasi quasi è meglio così…), dato tutto ciò, la deduzione ugualmente sbagliata è che la rete sia pressoché inutile per spostare consensi.

La rete è inadatta a costruire centri focali di attenzione, va da sé: è costruita allo scopo contrario! Ed è ovvio che una mera diffusione del messaggio, con testi e video, sposta poco se nasce e muore sul web. Le discussioni intanto fanno cambiare idea alle persone meno di quanto le confermino nella loro idea iniziale, senza contare che un’azione di convincimento "ipnotico" sul modello dello spot elettorale è per principio poco efficace in un luogo dove chiunque la pensi diversamente può intervenire, quasi allo stesso livello del messaggio, per contrastare o smentire o spernacchiare quello che hai appena faticosamente finito di dire tra violini e squilli di tromba.

Tuttavia la rete può essere assai utile in politica, purché lo scopo non sia diffondere il messaggio, cioè aprirsi un sito personale con il proprio faccione e il curriculum in bella vista, o un blog in cui si parla al popolo per fargli giungere il proprio fondamentale e altrimenti introvabile progetto politico… quanto piuttosto a) creare una relazione tra chi si propone e chi lo potrebbe supportare, b) tra coloro che lo supportano tra di loro, c) infine tra chi lo supporta e chi è effettivamente destinatario di un "messaggio".

Attivare e motivare (o ri-motivare) sia chi è già della tua idea, sia chi lo è diventato da poco, sia chi è già militante, sia chi può diventarlo; fornire loro strumenti agili e leggeri per un’auto-organizzazione operativa efficente – la rete e i social media; attivare queste cellule distribuite e autonome sui vari territori non ultimi quelli "fisici", tipo scampanellare ai vicini di casa per fare campagna, portare volantini, discutere in salotto o fare un banchetto nella piazza del paese.

Un modo inteligente di pensare questo processo anche da noi è di vederlo in sinergia, non in competizione, con le strutture "fisse" di base di cui i partiti dispongono (sezioni, circoli ecc.). Un modello di guerriglia per "commando" ben informati e agili a muoversi nei propri territori da sviluppare durante le campagne, può benissimo convivere con un modello più strutturato, stabile, che costituisce il livello di base dell’organizzazione democratica – cioè dotata di cariche elettive – di un partito. Anzi, i due livelli possono aiutarsi e stimolarsi a vicenda.

Al momento esiste un caso di studio che apparentemente – salvo ulteriori analisi che pesino meglio i vari fattori – ha funzionato, ed è appunto la campagna per Obama.

5 thoughts on “fare politica in rete, ma fuori

  1. A te parra’ strano ma anche in India ha funzionato. Il 72 % della popolazione e’ giovane. Tra questi quelli che usano il computer la meta’. Ed e’ successo che si e’ fatta politica atraverso e con il web ma con le stesse armi usate nella campagna di Obama. Da protagonisti e non da fruitori. Poi si’ Gandhi (38 anni) s’e’ fatto villaggio per villaggio. E ha vinto contro ogni previsione e pronostico. Ma stiamo parlando del 72% di giovani. In Italia i giovani sono il 17%. Non c’e’ storia.

  2. Aggiungerei anche che (per le europee è tardi, ma) in vista del 2012 si potrebbe pensare a un network di bloggers per aprire il cervello (in un senso o nell’altro) ad almeno un candidato della sinistra. Non so chi, perché ce ne vorrebbe uno un po’ illuminato, non invischiato nelle nelle solite piccole beghe tra confraternite. Uno capace di sostenere un programma di governo, ma che sia socialmente coraggioso, che insomma non faccia in automatico l’equazione: governo = compromesi con mafia, evasione fiscale, impunità per le classi dirigenti, controllo sull’informazione. Forse il primo passo consisterebbe nel capire chi potrebbe essere il personaggio.

    Lunobi

  3. “Forse il primo passo consisterebbe nel capire chi potrebbe essere il personaggio”

    è quello che stavo pensando anche io. altrove ho fatto la domanda a uno addentro che conosce gli under 40 del pd ma non mi risponde, troppa fatica. per dire.

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