kundera in brianza

Ieri sera sopra la Milano-Meda appena fuori dal confine di Milano, dove le due carreggiate si infilano guizzanti nella distesa di capannoni industriali e centri commerciali, villette, tralicci e residui di campi coltivati che una volta si chiamava verde Brianza lasciandosi alle spalle il piombo della città, proprio lì sopra sono passati due strani uccelli. Avevano il collo lungo, la testa piccola, il corpo grassottello e ali triangolari. Però non erano anatre. Noi eravamo in auto, nella coda silenziosa, mentre fuori accennava a piovere. Andavamo a  casa e io avevo comprato due bottiglie di vino.


Però non c’entra anche se mi piacerebbe andare avanti, ma non sarebbe un racconto dato che è successo davvero, no? Quindi perché scriverlo, senza personaggi e senza storia? È vero che se sta scritto, se sta qui, proprio qui dove leggi, non lì, qui! qualcosa come una storia implicita si allestisce e le lettere diventano personaggi, "noi" non siamo noi, nascoste tra le righe si muovono azioni invisibili come topi, scorrono flussi che si piegano in rapporti di forza, in architetture che mostrano il diagrammma di prevedibili sviluppi. E tutto succede anche parlando d’altro, di idee, di cose, come insetti posati sulla pagina bianca. Bella scusa no? Troppo facile. Ecco che siamo andati avanti, ma girando in tondo o come per l’illusione di una corsa sul posto.

Venendo al punto, la raccolta "L’arte del romanzo" di Kundera è interessante e si legge rapidamente. A me non piacciono i romanzi di Kundera. Non dovrei fare affermazioni del genere visto che ho provato a leggerne uno solo. Quando ci ho provato, anni fa, trovavo che ci infilasse troppa filosofia. Il che è grave solo se chi scrive non la capisce. Intendo Kundera. Secondo me se la inventava. Era kitsch, secondo me. Curioso, no? Magari bastava andare avanti.
Però questo libretto è interessante. Ogni tanto leggendolo si vede benissimo che pensa a se stesso come un grande romanziere, insomma è piuttosto pomposo; parlando dei suoi libri, di come li ha scritti, sembra che stia leggendo l’enciclopedia dell’anno tremila al capitolo sui più grandi scrittori di tutti i tempi. Probabilmente è per via del successo che aveva in quel periodo. Il successo rende chiunque un po’ vanesio.
Però ci sono dentro delle belle frasi. Ad esempio quella sul kitsch, per l’appunto, che definisce con questo giro di parole: il bisogno di guardarsi allo specchio della menzogna che abbellisce e di riconoscervisi con commossa soddisfazione. Oppure la parte in cui parlando del personaggio Jaromil la cui più grande felicità fino a quel momento era stata sentire la testa di una ragazza posata sulla propria spalla, cerca di definire la tenerezza: il tentativo, di fronte al terrore della vita adulta, di creare uno spazio artificiale in cui valga il patto di trattarsi l’un l’alto come bambini. A dire il vero la sua non mi pare una definizione esatta, se non si aggiunge che questa immagine dei bambini su cui costruiamo la tenerezza è retroattiva, proiettata indietro. I bambini non hanno alcuna tenerezza, non sono così, nessuno di noi era così. Sono bambini inventati quelli che ricreiamo, è un racconto di cui noi siamo i personaggi e la nostra storia l’avventura. 
Comunque, le parti in cui Kundera descrive come ha scritto i suoi romanzi sono curiose, quelle in cui filosofeggia un po’ meno, come al solito. A un certo punto parla di Kafka e dice una cosa bella: il comico, la barzelletta è divertente solo per chi vi è di fronte, Kafka invece ci fa entrare nelle viscere di una barzelletta, dentro l’orrore del comico. Bello no? La scrittura da formica in trappola di Kafka, tutta ridotta al presente di K.

Il romanzo "europeo" (dice così), per Kundera, è soprattutto conoscenza: articolazione di possibilità d’esistenza, anche inedite, mostrate attraverso le forme narrative, al modo della bellezza (quest’ultima cosa non ricordo bene se la scriva lui o un altro che sto leggendo in questi giorni). Come sosteneva un filosofo, scrivere non è significare, ma cartografare, anche contrade a venire (contrade? Ma come parla la gente?)
Il romanzo a suo parere è valido se dice ciò che solo il romanzo può dire: "la sua verità è nascosta, non pronunciata, non-pronunciabile". Come l’ironia, "ci priva delle certezze  svelando il mondo come ambiguità". "Chi ha ragione e chi ha torto? Più si legge il romanzo con attenzione più la risposta diventa impossibile". "Inutile rendere difficile un romanzo con affettazioni di stile; ogni romanzo degno di questo nome, per limpido che sia, è sufficientemente difficile a causa della sua consustanziale ironia".
Poi, solo poche pagine dopo, in una tirata sulla grandezza del suddetto romanzo europeo rispetto alla povertà dei filosofi, si mette a filosofeggiare e gli sfugge un giudizio su Sterne: nel suo romanzo si afferma che la poesia dell’esistenza, il suo significato, non è nell’azione ma nella digressione, nella libertà dolce e oziosa. Ma non aveva appena detto che le verità dei romanzi sono nascoste e ironiche?
Fatto sta che mi ha fatto venire voglia di riprovare a leggere un suo romanzo. A casa ne abbiamo parecchi. Ora abbiamo comprato una bella libreria, piuttosto costosa, in una di quelle grandi rivendite di mobili di cui la Brianza è disseminata, così ci staranno tutti i nostri libri. Però portarli dalla vecchia casa sarà una cosa lunga, ma anche una fatica leggera.

Fabula rasa


1
un programmatore megalomane inserisce un codice nei suoi prodotti che li spinge a venerarlo.

2
un uomo sogna di dover ridare l’esame di maturità, benché laureato. Con suo disappunto nel sogno la cosa appare normale. Nel frattempo la moglie accanto a lui sogna che tutti i suoi vestiti sono spariti. Quando si sveglia, l’uomo è solo, e non è mai stato sposato.

3
un uomo ruba un quadro che raffigura un uomo che ruba un quadro che raffigura un uomo che ruba un quadro che raffigura un uomo che ruba un quadro… Il pittore, seccato, dipinge un altro quadro in cui un pittore brucia un quadro in cui un pittore brucia un quadro in cui un pittore brucia un quadro in cui un uomo ruba un quadro, piuttosto bruciaticcio.

4
una donna spinge una carrozzina sulle strisce pedonali. Il figlio che vi dorme dentro un giorno sposerà la figlia dell’uomo che ha rallentato l’auto per lasciarla passare. Abiteranno a Viterbo.

5
una donna sola ma distratta legge ogni giorno sul treno romanzi d’amore. Un uomo di professione scrittore si siede ogni giorno di fronte a lei in silenzio sperando di notare interesse nei suoi confronti. Una volta la donna alza gli occhi e lo osserva. Ma nel libro lui ha appena lasciato lei per una pallavolista ucraina. La donna abbassa gli occhi, disgustata da tanta crudeltà narrativa. Lui arrossisce di vergogna.

6
un uomo scrive un libro comico di grande successo, in cui imita lo stile di un superfilosofo molto noto, suscitando ilarità generale. Tremila anni dopo gli archeologi ritrovano il libro, unico della sua epoca a essere sopravvissuto. Nei mille anni di prosperità che seguono intere generazioni di studiosi lo leggono riverenti, ma nessuno capisce mai nemmeno una battuta.

7
un uomo scrive una parodia di un romanzo molto noto, suscitando ilarità generale. Il romanziere, uomo riservato di cui non esiste alcuna immagine, se ne risente e lo denuncia. Al processo tuttavia il querelante non si presenta, al suo posto invia una memoria in cui ritira la querela. Il processo viene annullato. All’uscita del tribunale il parodista si fa fotografare sorridente in pubblico con il romanzo parodizzato bene in vista nella mano; la foto finisce su tutti i giornali. Giunto a casa, egli la ritaglia, la incornicia e la pone accanto al manoscritto del romanzo.

8
un uomo ascolta  in sogno una musica bellissima, più profonda e toccante di tutte quelle mai ascoltate finora. Al mattino è rapito ed entusiasta: cerca di corsa un foglio per trascrivere tutto ciò che ricorda e risuona ancora in lui, sempre più flebile. Di colpo, con la matita in mano, si ricorda di non saper scrivere le note.

9
un uomo cammina sul bordo del marciapiede. È vestito troppo elegante per i suoi gusti e per il clima. Il passo è spedito ma insicuro, sbanda, due dita sono stabilmente infilate nel colletto ad allargare il nodo della cravatta. Oggi tutto congiura contro di lui. Un regolare e lento meccanismo lo sta catapultando nella disgrazia, e non può farci nulla. Trascina una valigia, come chi disperi che un aereo per un posto sconosciuto sia la soluzione. Fugge, ma non sa ancora da cosa, o perché. Sa che tutto sta crollando sotto un’estate sospesa e canicolare.

10
una donna prende un impegno gravoso senza riflettere, per leggerezza. Più passa il tempo più si accorge che non sarà in grado di assolverlo. Presa dall’ansia, non sa cosa fare: non può più rinunciare e nemmeno proseguire. È immobile.

11
un uomo di una certa età ha perduto la capacità di distinguere il presente dal passato e vede le persone così come le ricorda da giovani. A un angolo di strada ferma la moglie e indicando dice: "Guarda, è Maria, non è cambiata per niente". La moglie china il capo e mormora qualcosa di spiacevole all’indirizzo di un’anziana sull’altro lato della strada. La sua rivale, sessanta anni fa. In effetti il tempo non è passato.

12
un uomo ha un piccolo bar in una zona ben frequentata. Ha lo stesso viso e lo stesso modo di fare di quando aveva quattordici anni, anche se ora comincia ad avere qualche capello bianco. Quando non ci sono clienti si pianta sulla porta d’ingresso fumando una sigaretta e scuotendo il capo, e fa gli stessi pensieri idioti di allora.

13
i fiori gialli crescono come sempre nel prato. I bambini che ci giocavano girandoseli tra le dita ora sono uomini fatti.

14
un uomo molto pigro sogna la trama di uno splendido romanzo. Sveglio, se l’appunta su un foglio. Ma è troppo pigro per scriverlo davvero, così col tempo se ne dimentica. Negli anni successivi si troverà a vivere tutti i passaggi di quel romanzo nella sua esistenza. Malauguratamente, nel ruolo di un personaggio secondario.

15
In un luogo sorgono ventinove città, poste in mare una dietro l’altra su piattaforme quadrate, sollevate dall’acqua da un gradino di marmo. Sono collegate tra loro da una strada di granito, che in qualche punto si interrompe per riprendere più avanti, lasciandone così isolate alcune. A volte sono minuscoli villaggi immersi nel verde da cui emerge solo il campanile, altre volte sono piccole cittadine che occupano tutta la piattaforma. Passando a mezza quota in aereo le puoi vedere una dopo l’altra nel mare tempestoso e grigio, ed è uno spettacolo che crea una vaga inquietudine.

16
un uomo deciso ma un po’ sbadato esce di casa e passeggia per una via affollata di passanti. Dopo un’ora, guardandosi in una vetrina, si rende conto di aver messo la maglietta a rovescio; le cuciture interne fanno bella mostra di sé. Imbarazzato vorrebbe togliersela, ma non può farlo davanti a tutti. Resta immobile un istante, poi di colpo allarga le braccia e le alza con decisione: tutto l’universo in quel momento si rovescia su se stesso come un guanto, ripristinando l’ordine alterato. Così è nato il mondo che conosciamo.

17
un bambino si diverte a gettare acqua dentro un formicaio, sotto un platano vicino a casa sua. L’erba e il tronco di quell’albero gli resteranno impressi nella mente per tutta la vita, senza che lui lo nemmeno sappia. Il che rende inutile questo appunto.

18
un uomo cerca sempre di portare la pace e di non contraddire nessuno. Non contraddice il primo che attacca il secondo, non contraddice il secondo che offende il terzo, non contraddice il terzo che ingiuria il quarto. Non fa in tempo a non contraddire il quarto che, tutti assieme, lo prendono a pugni.

19
un uomo crede di amare una donna. Osserva con attenzione i sintomi: strani sogni, pensieri inaspettati, aspettative, lievi alterazioni biochimiche che agiscono sui suoi stati emotivi. Eppure quasi non la conosce. Certe cose infatti accadono solo nei libri o nei brevi racconti. Fermo sulla soglia, si chiede se precipitare gli procurerà questa volta più gioie o più ferite. In realtà crede soltanto di essere fermo, allo stesso modo in cui crede di amare: è tutto il racconto che precipita e si accartoccia come un foglio nel fuoco.

20
un bambino gioca a calcio ai giardini. Ha sette anni e sogna di diventare un grande portiere. Il nonno gli scatta una foto. Le impiegate passano veloci nei vialetti del parco rincasando. Una di loro compare nella foto, in alto a destra. Rimarrà solo un camminare confuso, e un volto dolce.

21
un ragazzo straniero sta appoggiato a un palo all’uscita di un bar. Osserva un gruppo di ragazzi in crocchio che scherzano a pochi metri da lui. Una parte di lui vorrebbe essere tra di loro ma un’altra vorrebbe dimenticarsi che esistono, e di esistere. Perso in questi pensieri, si è scordato del suo compito.

22
un bambino pensa spesso al futuro e si immagina che ne sarà di lui da vecchio. Ci pensa continuamente anche se non si accorge di farlo, è come un sottofondo o una musica che si porta sempre dietro mentre pensa ad altro. Si chiede chi deve diventare e cosa accadrà e come saranno le cose a quel punto. Si immagina anziano mentre osserva la sua vita a ritroso. È qui che guarda là che riguarda qui, in uno specchio rovesciato. Come se volesse piegare il tempo in un anello ritorto: questo.

23
una persona conduce una doppia vita. Di giorno è un brillante e colto uomo di mondo, abile seduttore, viaggiatore, parlatore sagace e viveur di classe. Ma di notte all’insaputa di tutti, davanti alla televisione diventa un impiegato di concetto anonimo e ordinario, sfoga i suoi bassi istinti in vizi segreti e perversioni casalinghe, coltiva passioni e odi nascosti, inconfessati e si stordisce in degradanti paradisi artificiali. Un vero criminale.

24
un barista di cinquant’anni, scapolo, che lavora in un fast food del centro, si ammala di cancro al polmone. Continua a lavorare, anche se il suo aspetto è ogni giorno più smagrito. Alla sera torna al suo appartamento, dove si cucina qualcosa. Sembra un’ombra. Dopo la sua morte, un barbone che frequenta quel fast food chiede a una giovane barista dove sia finito quell’uomo. "Lui aveva quella sua malattia" dice lei. "L’avevo visto che era magro per la sua età" dice lui. Discutono di quanti anni avesse effettivamente.

25
un uomo rimasto solo decide che è ora di smetterla con i rimpianti. Chiama la ditta di traslochi e fa portare via il letto matrimoniale e tutti quei mobili pieni di ricordi. Questa notte dormirà nella stanza accanto, su un altro letto, singolo. Al mattino si sveglia strano, e con un terribile torcicollo.

26
un uomo viaggia in metropolitana seduto in fianco a una ragazza dai capelli lunghi e rossi, assorta nella lettura di un libro. Guardandone distrattamente le pagine si rende conto che il protagonista del libro è un uomo con il suo stesso nome. Incuriosito continua a leggere senza dare nell’occhio: il libro parla effettivamente di lui e sembra descrivere esattamente tutta la sua storia: in quella pagina, quasi alla fine della lunghezza complessiva del volume, si racconta di come sia seduto in metropolitana vicino a una ragazza assorta nella lettura. La ragazza chiude il libro e fa per alzarsi. Lui vede il titolo sulla copertina: Una vita. Prima che possa scuotersi dallo stupore e rivolgerle la parola, il treno giunge alla stazione, lei si alza, scende, le porte si richiudono. Alla fermata successiva l’uomo si precipita fuori sconvolto, sale le scale e corre in una libreria, chiede del libro, lo compra, paga in tutta fretta e mentre esce lo sfoglia avidamente. Vi si narra la storia di una ragazza dai capelli lunghi e rossi.

27
un uomo solitamente trasandato decide di pulire finalmente la sua casa. Dedica un giorno intero a lavare e spolverare ogni cosa. Compiuta l’opera, è stanco e va a dormire. Il giorno dopo va al lavoro come sempre. A sera rientra nella sua casa pulita, si siede sulla sua sedia pulita, e osserva a lungo la stanza pulita. Non accende nemmeno il televisore pulito. Ogni cosa se ne sta immobile. Silenziosa e pulita. Pensa a come portare quest’ordine impossibile dentro di sé, ma non sa da dove partire. Non c’è un detersivo adeguato.

28
una donna esce per la pausa pranzo e va al parco. Si siede su una panchina, infila l’auricolare del microtelefono nell’orecchio, compone un numero a caso e inizia a inveire nervosamente. Caduta la linea, compone un altro numero a caso e ripete l’operazione. Fa così tutti i giorni per mesi, per anni. Finita l’ora di pausa, ogni volta, si alza e torna in ufficio. Un giorno le risponde un uomo dicendo: "Io mi ricordo di lei, mi ha già chiamato qualche anno fa". La donna tronca la comunicazione, resta in silenzio per qualche istante, fissando il vuoto. Poi si alza e tornando in ufficio getta il telefono in un cestino.

29
un narratore scrive solo storie di tre righe ma vive in un paese di logorroici in cui tutti lo prendono per matto.

Quello che gli editori non dicono



SIPARIO
 
[Entra facendosi largo tra le quinte chiuse poi, liberatosi a fatica del drappo sipariale, rimane per un istante fermo e ciecato in piena scena. Scorto infine il leggio sistemato in mezzo al palco, vi si avvia a larghe falcate. Sotto il leggio sta appeso un foglio e scritto a lettere maiuscole: “Editore”. Giunto a quel punto, estrae dalla giacca un plico, lo squaderna, liscia i fogli col palmo della mano. Alza gli occhi verso la sala buia, si flette sulle ginocchia, prende un respiro e comincia di furia, senza preamboli, quasi urlando]

In primo luogo, signore e signori, io sono un imprenditore. Per essere chiari: io sono colui che si conduce al mercato sulla pubblica via e lì vende i suoi prodotti, ovverossia ciò che per la sua azione o per azione interposta ma scaturita da suoi capitali e volontà egli ha prodotto. Le sue merci, insomma. Voi tutti sapete, poiché siete qui convenuti, che l’essenza di una merce è che sia venduta: essa è in se medesima un puro veicolo, una navicella verso il compratore e la sua tasca e la moneta sonante o anche frusciante, o pulsante, ronzante o come vi pare di concepirla. E perché ciò accada, ossia la vendita, la merce si deve mostrare nella sua nuda qualità: essa deve funzionare, qualunque cosa questo vi significhi.
Prima regola dell’Editore, ovvero mia che vi parlo, dal punto di vista delle merci è quindi di produrne che funzionino.
Sono certo d’esser stato fin qui sufficientemente chiaro.

[Prende fiato. L’eloquio si fa meno isterico]
Ma che vuol dire dunque? Funzionare, come oggi funzionano  [finge di mostrare delle diapositive, che non appaiono] un mezzo motorizzato o un paio di braghe alla moda, e cioè: da una parte e per l’appunto assolvere in qualche modo alla funzione, che sia di mandare semovente il corpo o ricoprirne le inferiorità, dall’altra e insieme nello stesso gesto contenere un nucleo di significati che superano la funzione e a volte persino la sconfermano. Questo secondo lato noi lo chiameremo: Contenuto Aereo della Materia Posta in Vendita e in esso si contemplano stile e moda, gusto, fantasmagorica evocazione di vite altrui e aspettative immaginarie e riparatorie, desideri tanto radicati e generali quanto infantili, primordiali, o generosamente umani, o giusti, o nobili, generalmente nostri. Ciò che si vende è perlopiù segno, incastonato su una base sottile di materia. Che è poi il modo in cui il poeta descriveva l’esistenza umana e il suo essere alla mercé dell’immaginazione. Ma non divaghiamo, non siamo qui per fare letteratura.

[Accenna a un sorriso. Si assesta nella giacca. Pare ormai padrone della situazione]
Ovviamente, l’avete già intuito, la merce letteraria è perfetta. In essa i due lati di ogni merce in generale tendono meravigliosamente a sovrapporsi, a confondersi tra loro in uno solo.
Il che fa peraltro di letterati e cantanti, di musici, registi e ballerine e pure di quelli che ci mostrano con toni pensosi lo spettacolo generale e degenerato della società mercantile e la sua decadenza estetica e morale, fa di costoro dicevo per così dire tra i suoi più rilevanti salariati nonché solerti costruttori.

[Sta motteggiando. Di colpo si ridà un contegno]
Dunque l’Editore – intendo di storie, poiché io sono editore di storie, non l’ho detto? Ah sì, certo… Scusate – l’Editore… Ehm…

[Si è impappinato]
l’Editore… dunque… Uh

[Di colpo ritrova il filo e parte a razzo senza alzare lo sguardo dai fogli. Gesticola vistosamente sottolineando certi passaggi con ampi movimenti delle braccia]
l’Editore deve produrre merci letterarie funzionanti, cioè merci letterarie dotate di spigoli ficcanti in vista della loro mirata destinazione, e cioè per esempio romanzi d’azione, d’avventura e d’eroi o controerori, il cosiddetto thriller ch’è poi melodramma ricucinato in varie salse, il noir-di-tendenza tendenziale, i gialli questurini che sono commedie col morto o incitamenti al pubblico linciaggio del caprone, le tragedie immote in un bicchiere da cucina, i romanzi adolescenziali di formazione o deformati, quelli giovanilistici, generazionali, femminili, esotici, intimistici, rivoluzionari sotto sotto, neon-realisti un poco in superficie, i poetici sentimentali, e poi romanzi pseudo-colti che citano i grandi romanzieri del passato o pseudo incolti che citano i fumetti, romanzi trasgressivi di sesso e turpiloqui, romanzi cinici ma austeri per giovani idealisti frustrati con nostalgia dell’autentico significato non in vendita, il patetico, ch’è in gran ritorno oppure le assai colte satire appena percettibili d’altri libri oscuri o mascherate da grandi scannamenti e così via e così via.
Ognuna di queste merci deve presentare i suoi cliché di stile e narrazione, luoghi comuni di scrittura e di tematica che la rendano riconoscibile e per bene destinata, evocando in modo adatto il cliché di mondo narrativo che può far coagulo con  aspettative e desideri letterari del compratore in base alla tana che questi abita in società.
Naturalmente, lo sappiamo, da una parte chi acquista vuole il cliché, dall’altra il cliché, come il vampiro di sangue, ha bisogno per vivere di continue variazioni sul suo tema, vuole essere rinnovato per non apparire subito vecchio e stantio come la moda dell’anno scorso e quindi fonte di immediato riconoscimento e di noia e disdoro e perfino vergogna da parte dell’acquirente e lettore. Quindi, come Editore, io devo ricercare tra l’esistente non solo il certo, ma insieme anche il relativamente nuovo, e saper verificare che funzioni, o che perlomeno possa funzionare in un ipotetico futuro.

[Si ferma. Tira il fiato. Si allarga un po’ il colletto della camicia. Sta sudando. Riprende, simulando un tono paterno]
Direte voi: e la vera letteratura? In mezzo a questa logica di commerci che ci disegni, quale spazio trova? Tu, volete dirmi, sei la rovina dell’arte, non il suo mezzo. Non oso contraddirvi, ma riflettete: nessuno al mondo si mette al tavolino con l’idea o la chimera di fare da sé vera letteratura e vera perché diversa da quella prezzolata che dir si voglia. O meglio, lo si fa eccome, e io lo so bene!

[Parlotta tra sé e sé]

se penso a tutto quello che mi tocca leggere…

[Riprende ad alta voce]

ma questa intenzione non può in realtà produrre la letteratura cui si ambisce, ma piuttosto descrive l’ambizione con cui la si vuole, ovvero l’arcadia filodrammatica, insomma il vorrei ma non posso, che nella formula ben nota impone di descrivere un luogo in cui li letame – mi perdonino – cioè la propria segreta e puteolente ambizione di rivalsa se ne stia nascosta, pur non essendoci altro sulla pagina scritta che quell’infinita noia ben disposta in righe.

[Gigioneggia, ridacchia. Registrazione incomprensibile]
E poi non è forse vero che, in ogni campo dell’umano, i migliori sono in numero minore dei mediocri? La letteratura che vi piace definire grande non è mancante, semplicemente, come sempre, è poca.

[Tono lirico]
L’arte è una svista, un caso, un colpo di fortuna. Noi editori inseguiamo chimere e speriamo nella pietra preziosa che ci capiti sulla via…
Certo, nel frattempo dobbiamo pur campare, no?

[Strizza l’occhio, ma pasticcia perché non sa chiudere un occhio senza chiudere anche l’altro. Smette subito e si ricompone. Tono grave]

C’è poi il secondo corno della questione: il lato dello scrittore.

[Lunga pausa. Controlla gli appunti. Gira i fogli sottosopra, con calma, come se fosse all’intervallo tra primo e secondo tempo. Prende un foglio, lo osserva, mormorando qualcosa. Poi riprende con enfasi, come leggendo un testo sacro]
Per via della natura stessa della merce-romanzo, della sua complessità e della miriade di fattori che entrano nella composizione del suo funzionamento, l’arruolamento degli scrittori è un processo delicato che subisce alcune regole di convenienza che ora vi illustro.
Prima regola: cavalli sicuri, e limitate i rischi. Immaginate un po’, ci vuole così tanto tempo a scrivere, leggere, valutare, sistemare, editare, commercializzare e vendere, che più si va sul sicuro e meglio è.
Seconda regola: fidarsi di chi merita fiducia. Se un cavallo nuovo è segnalato da un cavallo sicuro o proviene da un’altra scuderia, o si è messo in mostra in una palestra per giovani puledri è più facile che sia un buon cavallo: il che accorcia i tempi di una selezione svolta personalmente. Questo spiega perché sia del tutto impossibile giungere a me se non si conosce qualcuno che mi conosce e in qualche modo garantisce o presenta, o se non si è dell’ambiente, e perché tutto ciò sia logico e insieme giusto.

[Colpo di tosse. Beve un po’ d’acqua da una bottiglia di minerale sistemata sotto il leggio]
Questo discorso fa emergere l’ovvio finora poco celato, ossia che vi è una seconda merce in vendita oltre ai miei libri e della quale io non sono venditore, ma acquirente. Questa è: il narratore.

[Altro colpo di tosse]
Egli dunque, nel mercato in cui ci incontriamo e non certo ad armi pari, deve vendermi le sue capacità e se stesso, cioè deve vendere sé da due punti di vista: ciò che sa fare, e la possibilità astratta e generale che io impieghi ciò che sa fare.
Il primo aspetto di questo commercio dà luogo come suo cascame a tutto l’universo ricorrente delle correnti letterarie, delle teorie le più vaghe, delle prese di posizione stilistiche o politico-letterarie, che hanno lo scopo chiaro di isolare la propria tecnica o la propria posizione dall’universo informe delle possibilità e dell’esistente scritturale e renderla riconoscibile, visibile e quindi vendibile a me, all’Editore. In questo senso si spiega anche perché sia così frequente il gre

[Altri colpi di tosse, ripetuti]
il gregarismo, cioè l’affiancarsi interessato, a volte prono altre volte

[Altri colpi di tosse, ripetuti più volte. Si tiene la gola, tossisce in un crescendo parossistico. È paonazzo. Poi la tosse si placa]

Scusate… Dicevamo…

[Si riprende lentamente. Farfuglia. Poi ricomincia]
In questo senso si spiega anche, dal lato della merce-scrittore, perché sia così frequente il gregarismo, cioè l’affiancarsi interessato, a volte prono altre volte volitivo e di recitata indipendenza a seconda di personalità e convenienze, di un cavallo giovane a uno più affermato, per non dire attempato, da cui il primo può non solo apprendere trucchi e tecniche, ma essere condotto presso di me attraverso una segreta scorciatoia.
Il secondo aspetto del mercimonio in questione, la coltivata speranza che io impieghi chi mi si offre, spiega invece l’universo pubblico dei dibattiti, delle apparizioni, del far tema di sé in quanto si è ciò che si mostra, le quali hanno lo scopo di far notare come in sfilata la figura del narratore, la sua faccia o posa o la sua presenza e farmi ritenere che possa essere un buon veicolo per la mia merce. E a questo fine per paradosso consueto si formano in una via che può essere di branco, di muta, o di solido gregge le carovane di luci che, troppo deboli per farsi notare separate e sembrarmi appetibili, si rendono visibili sommandosi tra loro, facendo grancassa, costruendo insomma quei carri collettivi che avranno in previsione più fortuna di arrivare alla metà, a quel luogo cui tutti anelano, alla destinazione, che non un singolo carretto.
E in questo modo il cerchio si chiude.

[Sorride. Poi di colpo si fa serio]
Rimane una questione inesplorata: cosa è, in se stessa e al di là delle fantasie che tutti costoro se ne fanno, questa famosa destinazione?

[Resta muto un istante. Poi accenna un breve inchino, raccoglie i fogli e a passo svelto riguadagna le quinte scomparendo]


***

 [Voi direte: ma può funzionare così? Per il personaggio dell’Editore, sì. Questo è ciò che si vede da lì o meglio, ciò che noi ne vediamo da lì facendo parlare il nostro eroe, ad uso e consumo di questo esercizio, ma non è necessariamente ciò che passa "nella testa" dei personaggi da lui evocati. Quanto al personaggio dell’Editore, escludiamo che un personaggio possa avere testa. Dunque di ciò che passa nella testa di chiunque, in questo testo, non sappiamo nulla. In definitiva, che tutto il meccanismo funzioni proprio così non si può dire (ammesso che si possa dire definitivamente, di qualcosa, che è così). Anzi è probabile, perfino certo, che vi siano molti altri lati da cui si può vedere la stessa cosa e il suo funzionamento, lati che smentiscono del tutto e anche a ragione questa comoda versione dei fatti. Quindi ci si chiede: la verità è la somma dei lati o delle versioni? O è piuttosto la vittoria della versione più forte? È ciò che ogni personaggio ne sa? O ciò che ne fa? Oppure infine è ciò che il narratore fa dire a ciascuno? E chi fa parlare il narratore? Di tutto questo non siamo all’altezza di parlare, servirebbe il filosofo. Abbiamo solo raccontato la storiella dell’Editore, o meglio del suo personaggio, perché è la più facile. Perché appunto è un cliché, una caricatura.]

SIPARIO

KONZEPTUAL – Detto Marco Pannella

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Metabolismo come arte: è questo il titolo della retrospettiva permanente che lo Spazio Trans-N-azionale, nella centralissima via Capezzone a Roma, dedica alla vita e all’opera di Giacinto Detto Marco Pannella. E titolo non poteva essere più appropriato per questo artista nativo di Teramo, longevo, misconosciuto e controverso, la cui opera complessa e in molti sensi debordante viene finalmente riscoperta e resa fruibile al grande pubblico, dopo anni di oblio dovuto anche, dobbiamo dirlo, all’ostracismo del mercato dell’arte.

Fotografie, testi, registrazioni, materiale video guidano lo spettatore dentro un corpus davvero sterminato: dai primi lavori ancora figurativi in cui Giacinto Detto Marco allenava il suo linguaggio e che gli diedero un’effimera e rimpianta notorietà (Divorzio Italiano, del 1974), alla lunga serie di performance di Invisible Body Art (l’interminabile sequenza di pannelli Solo un cappuccino), in cui il corpo stesso dell’artista viene trasmutato in opera d’arte.


Ma tale operazione non avviene attraverso interventi ancora estrinseci ed esteriori, come in molta arte invero superficiale che ha fatto tuttavia la fortuna – e la moda – di quel genere, bensì molto più in profondità, fin nelle pieghe del metabolismo, che viene sospeso e modificato impercettibilmente e infinitamente. Va detto però che, forse, è per il suo lavoro di Visual Poetry, e ancor più per i momenti artistici che vanno sotto il nome di Labirintic Language, ricerca arditissima che continua ancora oggi, che Detto Marco verrà ricordato. Nell’allestimento allo Spazio Capezzone, giganteschi pannelli che riportano a caratteri minuti gli steminati testi delle sue perfomance, e lunghissime sequenze video testimoniano questa fase della sua opera.


È la chiave del suo lavoro attuale: torsione e svuotamento del linguaggio dall’interno, costruzioni asintattiche e spesso asemantiche, uso figurativo e quasi “prensile” della parola, quella tipica logorrea a scatola cinese che è la cifra stilistica delle sue composizioni, spesso improvvisate in piccoli circoli di amatori o in trasmissioni radio semiclandestine e fortunosamente ritrovate e oggi esposte: un virtuosismo istrionico che non è mai fine a se stesso, ma finisce per mostrare, come in un rincorrersi infinito di specchi, il destino di insensatezza della contemporaneità. Si dovrebbe dire molto di più. Andatela a vedere: è una mostra che vi consigliamo di cuore.
(Un consiglio: fate attenzione al banchetto allestito subito prima dell’ingresso, cercheranno di farvi firmare dei fogli per una sedicente nobile causa. La Direzione ha garantito trattarsi di abusivi che nulla hanno a che vedere con la mostra su Detto Marco).
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per gentile concessione © Rowohlt, Stuttgart,
tratto dal volume: B.G. Argano, B.G. Argano vi spiega l’arte concettuale, Rowohlt, Stuttgart, 2005

Immagini
1. Detto Marco Pannella, Passa il joint, performance itinerante, Italia, 1975
2. Detto Marco Pannella, Solo un cappuccino # 1743, foto della performance al Circolo Medici Internisti Liberali di Anagni, Frosinone, Italia, 1983.
3. Detto Marco Pannella, Divorzio italiano, tecnica mista, collezione privata, 1974
4. Detto Marco Pannella, Labirintic Language # 186, olio su tela, cm 25×25, Museo dell’Appennino, Teramo, Italia, 2005.

 

KONZEPTUAL – Urbano Vigile

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La moda degli artisti collettivi e della creazione anonima come gesto sovversivo non è nuova, ma quella che vi presentiamo non è una moda: è una delle operazioni più originali e innovative, e insieme più complesse, che il circuito dell’arte abbia visto da molto tempo.

Stiamo parlando di quel singolare e inafferrabile fenomeno che va sotto il nome di  Urbano Vigile. Li avrete senz’altro visti nelle strade delle vostre città, ed è stupefacente sia il loro numero sia la loro incredibile capacità di essere perfettamente sincronici. Uno solo non vi dirà nulla, al massimo vi chiederete: che ci fa quel tipo col buffo vestito in un angolo di strada? E passerete oltre.


Perché questa è la cifra dell’operazione: complessità e invisibilità. Come uno sterminato ipertesto vivente, Urbano Vigile gira per le strade, per tutte le strade, e sembra farsi i fatti suoi. Ma non è così. A un certo punto alzerà le braccia, suonerà dentro un curioso fischietto, passerà di fronte al traffico impazzito fermandolo con un solo gesto inaudito causando una sospensione, una bolla di non-tempo nel fluire isterico del continuum apparentemente lineare. Ma soprattutto, lo farà in infiniti punti contemporaneamente.

Complessità: le teorie di Morin, le intuizioni di Maturana e Varela sulla biologia del vivente, le ricerche di Vinograd sulle strutture reticolari, la teoria del caos, tutto messo all’opera nell’istante, nello spazio e nel tempo. Invisibilità: che dire di un’opera che, letteralmente, non può essere vista? Dovreste essere ovunque, ubiqui, per poterla cogliere. C’è tutto l’esoterico insegnamento della post-ermeneutica contemporanea dietro questa apparente semplicità, ma anche un messaggio politico che per paradosso è impossibile non cogliere. E infine: Trasformazione. Lo spazio del movimento umano diventa una materiale plastico, una sterminata macchina ambientale che si modula, si piega e si distende dietro i gesti, quasi una danza infinitamente disseminata, di Urbano Vigile. Esperienza materiale e ascetica al tempo stesso, potenziale di mutazione dal basso, Urbano Vigile parla ad ognuno di noi. E sembra chiederci, nel silenzio sospeso di una mano sollevata: dove credi di andare?
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Per gentile concessione © Rowohlt, Stuttgart;
tratto dal volume: B.G. Argano, B.G. Argano vi spiega l’arte concettuale, Rowohlt, Stuttgart, 2005.
Foto Archivio EIAR.

 

KONZEPTUAL – Carol Wojtyla


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Difficile dire qualcosa che non sia stato detto su uno dei più celebrati e importanti performer del nostro tempo, quel Carol Wojtyla, al secolo Paolo Giovanni Secondo da Teramo, che ha fatto versare fiumi di inchiostro alla critica internazionale e il cui nome riempie milioni di pagine web. Vero navigatore di tutte le correnti dell’arte contemporanea, sembra che nessuna sfumatura della ricerca estetica gli sia rimasta estranea: dalla body art più estrema – la notissima performance Come To Daddy, operata in diretta planetaria nel maggio 1981 al Giant Stadium per l’occasione trasformato in Piazza del Popolo, grazie a un semisconosciuto artista turco da lui assoldato  – fino al concettuale più rarefatto – l’indimenticabile “muggito” di Bratislava del 2003, trenta minuti di suoni gutturali tra la litania mistica sufi e il lamento inarticolato di un moribondo, di fronte a una folla ciclopica ed esterrefatta venuta da tutta Europa. Sovvertitore e fondatore al tempo stesso, dall’influenza vasta e profonda, alle sue opere alcuni attribuiscono eventi epocali come la rovinosa fine del movimento International Communism, che per decenni aveva regnato indisturbato nei musei e nelle gallerie di mezzo mondo (crollo che altri critici attribuiscono però al venir meno della spinta propulsiva di quel movimento). O la presunta rivelazione niente meno che della fine del mondo, in realtà un dirompente lavoro di scavo nella società dell’immagine e nei suoi risvolti più arcani, operato attraverso un progetto pluridecennale dal nome iniziatico di Terzo Segreto di Fatima.

Come chiudere Giovanni Secondo in una definizione? Figura controversa, ha lacerato e diviso le opinioni: chi ne ha fatto un avventuriero del mercato dell’arte, chi un semidio del gesto figurativo, chi ha visto nella sua opera un nuovo inizio e chi ne ha denunciato un radicale arcaismo antimoderno. E nemmeno il gusto dello sfregio sembrava mancare a questo autentico mostro di bravura: che dire della sarcastica “papamobile” fatta costruire dopo il suo auto-organizzato ferimento, beffardo guanto di sfida verso i detrattori che gli attribuivano eccessi splatter? Sta di fatto che nessuno è stato in grado di coniugare in modo così dirompente la rottura estetica con il successo presso le masse degli appassionati, ad onta dei catastrofisti d’ogni risma per i quali arte e massa sono inconciliabili. Artista dell’elefantiasi, le sue performance non furono eventi, ma adunate oceaniche; le sue intuizioni non erano prese di posizione, ma proclamazioni dell’apocalisse. Centro focale di un culto di massa quasi isterico secondo molti, profeta della morte e rinascita dell’arte attraverso la sparizione dell’artista secondo altri, Giovanni Secondo ha fatto di tutta la sua vita un’opera. E di questo la cultura contemporanea non potrà liberarsi tanto facilmente
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Per gentile concessione © Rowohlt, Stuttgart,
tratto dal volume: B.G. Argano, B.G. Argano vi spiega l’arte concettuale, Rowohlt, Stuttgart, 2005


Immagini
1. Giovanni Secondo, Come To Daddy – performance audiovisiva – Giant Stadium, East Rutherford, New Jersey, USA
2. Giovanni Secondo, My Beautiful Car – materiali plastici, tela, metallo – Castello di Rivoli, Rivoli (TO), Italia
3. Giovanni Secondo, I’m Going – materiali plastici, tela, metallo – collezione privata
4. Giovanni Secondo, Lanonaora #13 – performance audiovisiva – Sala Grande dei Musikverain, Vienna, Austria

La Recherche


(soggetto per racconto scritto da narratore dedito all’abuso di blandi allucinogeni, come gulash o televisione)


Un gruppo di sbandati viaggiatori dello spazio, due uomini e due donne, vaga poco convinto su un cargo interstellare quando incappa in un misterioso personaggio, un terzo santone, un terzo criminale; questi vende loro una macchina del tempo spacciandola per un tritaghiaccio. Mentre il gruppo di svalvolati crede di confezionarsi un giro di capirinha, l’aggeggio li porta indietro nel tempo. Del tutto inconsapevoli, i quattro si trovano a ripercorrere senza sospettarlo le tappe dell’evoluzione dell’universo, dalla nube primigenia alle molecole della vita fino all’uomo e alla sua storia, guastandone tuttavia retrospettivamente e per sempre il corso con i loro goffi tentativi di armeggiare intorno all’attrezzo (che oltretutto si rifiuta di triturare a dovere i ghiaccioli). Le conseguenze sono catastrofiche per tutti gli esseri conosciuti e sulla fiducia anche per quelli sconosciuti. Ma ogni volta che l’incosciente devastazione arriva a minacciare la loro stessa vita, i quattro alcolisti spaziali si salvano fortunosamente, non senza lasciare dietro di sé storture e modificazioni permanenti nell’ordine naturale. Con gran sollazzo del divertito lettore, gli atti sconsiderati di cui si macchiano trasformano la loro stessa anatomia nonché la capacità di usare linguaggi sensati, causando conseguenze grottesche ben descritte dalla sapida ironia del narratore, che indulge però poco opportunamente in tirate moraleggianti sul destino dell’uomo alle prese con una tecnica di cui non comprende il funzionamento, pur avendola creata (è peraltro opportuno che il narratore utilizzi lo pseudonimo di Marcello Prusti, sia romano e si avvolga in una certa greve e maleodorante nube di aggirabilissimo mistero).
Immancabile l’happy-end: i quattro improbabili viaggiatori del tempo, trasformati in conglomerati giganti di muco animale filamentoso, sorseggiano capirinha su un’incontaminata spiaggia romagnola discutendo di letteratura americana con il terzo mancante: un geometra di Lissone dedito al turismo sessuale che agiva nell’ombra come deus ex machina e alter ego del narratore medesimo.

bestiario – fantascienza italiana

Logica dell’errore


(soggetto per racconto pseudofilosofico da scrivere in prima persona ma con tono estremamente distaccato, come nella letteratura seria. Qui giustamente, consapevoli dei propri limiti, se ne dà solo lo schema)

– C’è il puro e c’è l’impuro
– Il puro è misura di sé
– Il puro deve eliminare l’impuro
– Se non elimina l’impuro, il puro diventa impuro
– Se non elimina chi non elimina l’impuro, il puro diventa impuro
– Se non elimina con sufficiente zelo chi non elimina l’impuro, il puro diventa impuro
(Descrizioni delle fasi senza spingere troppo sul patetico)

– Ora lo zelo è la misura del puro
– Soltanto chi resta da solo avendo eliminato tutti gli altri può essere sicuro di essere puro, perché è stato sufficientemente zelante da non essere eliminato

 MA (svolta interiore del protagonista)

– Qualcuno potrebbe, pur essendo impuro, aver simulato lo zelo eliminando altri puri pur di apparire puro
– Caccia al sopravvissuto
– Nessun esito della caccia
– Chi è rimasto, non può che essere lui quell’impuro mentitore
– Chi è rimasto (cioè la voce narrante, ndr) elimina se stesso per eliminare l’impuro
– Fine del racconto per esaurimento dei personaggi

(sostituire alla bisogna zelo con ferocia, puro con fedele. Spargere qua e là allusioni all’attualità. Evitare accuratamente ogni riferimento a reality show)

bestiario – alta cultura

Il salmone del dubbio


(soggetto per racconto di narrativa minimalista americana del tutto ignoto, ma pubblicato da minimum fax in quanto sedicente capolavoro misconosciuto)


In una serata di festa a casa dei Walsh, coppia di pubblicitari molto in voga nel comprensorio di Baltimore, Maryland, USA, si accende una futile discussione tra uno degli invitati, Alan Irving, product manager di una nota agenzia locale, e la moglie di Billy Walsh, Wanda. Oggetto del contendere: le tartine al salmone che Wanda ha fatto acquistare alla domestica per cena. La storia, il cui narratore deve necessariamente chiamarsi Adams e provenire da Seattle, Washington, USA, si sviluppa come intricato giallo psicologico che muove i personaggi come pedine di un sottile gioco al massacro. Il salmone, feroce metafora della condizione dei ceti emergenti nella middle class americana, condurrà il lettore attraverso il progressivo svelarsi dei segreti che si celano dietro lo scintillio di una società apparentemente senza conflitti. Billy Walsh scoprirà, leggendo la data di scadenza delle confezioni di salmone, che l’amore ostentato dalla moglie per la sua elevata condizione sociale rivela un baratro di angoscia; Wanda Walsh e Alan Irving, segretamente amanti, abbandoneranno la cena per trasferirsi nel Texas, dove nessun prodotto ittico in saldo possa più minare le loro assurde certezze. Attorno al trio di protagonisti si snoda un coro di personaggi, di voci, di atteggiamenti, di tic sapientemente tratteggiati attraverso una narrazione anticonvenzionale, dove il sarcasmo domina sull’amarezza, l’avvelenamento da cibo fa a gara con le grandi questioni esistenziali. Dopo che un’ambulanza dirottata da un enorme pupazzo di peluche a forma di vibratore farà irruzione nel giardino con piscina Jacuzzi in leasing dei Walsh, gettando lo scompiglio tra gli invitati, toccherà a Billy Walsh, ormai rimasto solo, intrattenere l’ex dipendente di assicurazioni contenuto nel pupazzo e ridargli un’assurda speranza nella vita.

bestiario – sòla