l’ombra della paura

Un tema senz’altro interessante è quello della "percezione di". Acutamente fanno notare: non conta quel che accade, ma quel che si percepisce accada. La gente si sente insicura e questo basta, quindi servono azioni decise. La risposta usa lo stesso argomento di questa pretesa confutazione di ogni alternativa: se conta la percezione, e questa è sconnessa dai fatti, qualsiasi azione reale e diretta è nel migliore dei casi impotente nel contrastarla e nel peggiore, per la legge di Murphy, non farà che amplificarla. Forse è opportuno ripensare a quali siano questi famosi "fatti".

Un intervento sensato, uno tra i pochi letti in questo periodo, quello di Ilvo Diamanti su Repubblica del 9 scorso (non online), usa questo argomento nell’analizzare tra l’altro in caso Treviso, spiegando poi che insicurezza è un nome di comodo in cui si riassumono una serie di impressioni reali che non necessariamente hanno a che fare con episodi micro o macrocriminali, ma hanno più relazione con stati di insicurezza sociale multicausa: degrado urbano, rottura dei legami sociali, abbandono del territorio a logiche di puro interesse, incertezza economica diffusa, pura e mera "fatica sociale" e così via. Questi temi vengono in genere definiti banaltrismo. Mi pare che il vero benaltrismo sia rifiutarsi di rispondere alla semplice domanda: perché se la microcriminalità diminuisce costantemente (e la macro è comunque su valori "normali", se è vero che in Italia ci sono stati 621 omicidi nel 2006, contro i 16.000 degli USA), l’insicurezza aumenta al punto che, come declama oggi un non imparziale assessore al Comune di Milano, «la gente è terrorizzata e non ne può più»?

La Repubblica
9 settembre 2007

A che punto è la paura nella società vulnerabile
di Ilvo Diamanti

Un fatto sicuro è che siamo insicuri. Che l´insicurezza sta crescendo rapidamente, nella società. L´abbiamo rilevato qualche mese fa (Osservatorio Demos-coop, giugno 2007). L´83% delle persone pensa che oggi, rispetto agli ultimi anni, in Italia la criminalità sia aumentata. Il 44% ritiene che lo sia anche nella zona in cui vive.
La sensazione del rischio, però, è aumentata soprattutto a livello locale (+ 10 punti percentuali negli ultimi due anni). Questa tendenza sta penalizzando, soprattutto, la maggioranza di governo. Non a caso, il 40% degli italiani ritiene il centrodestra maggiormente in grado di “combattere la criminalità”. Mentre solo il 18% considera più affidabile il centrosinistra.
E´ per questo, probabilmente, che, da qualche tempo, leader di governo e amministratori di centrosinistra sono protagonisti di iniziative molto discusse, in tema di ordine pubblico. In alcune città (fra cui Bologna, Padova e Firenze) sono state avviate azioni decise contro l´illegalità urbana e contro la “microcriminalità”.
Un termine riduttivo. Evoca reati “piccoli piccoli” commessi da “criminali piccoli piccoli. Li pesti a ogni passo”, ironizza Marco Paolini in una pièce. In effetti, si tratta di reati che suscitano grande inquietudine, perché “offendono la vita quotidiana dei cittadini”, come ha giustamente affermato Giuliano Amato, intervistato da Massimo Giannini. Il ministro dell´Interno, per questo, ha annunciato, anch´egli, “un pacchetto di misure urgenti contro la criminalità”. Mentre i sindaci Cofferati e Domenici hanno auspicato che vengano attribuiti loro “poteri di polizia”. Subendo le pesanti ironie di Giancarlo Gentilini, (pro)sindaco di Treviso. Il quale, a una recente “festa della Lega”, ha invitato a diffidare delle imitazioni; di “questi sceriffini di sinistra”. E ha scandito: “Lo Sceriffo sono io”. Ha inoltre chiarito quale uso farebbe dei poteri di polizia. Riguardo agli autori del sanguinario assalto alla villa nei pressi di Treviso, ha, infatti, detto, senza giri di parole: “L´unica pena certa è la pena di morte. Metto io il sapone sulla corda”.
Naturalmente, non c´è parentela fra le posizioni di Gentilini e l´orientamento di Cofferati, Domenici e Zanonato (per non parlare di Amato). Lo “sceriffo di Treviso” è il primo a rifiutare l´accostamento con quelli che definisce “gli sceriffini bolscevichi”. Però, non è casuale se, quando si parla di “tolleranza zero”, in Italia, il pensiero non cada su Rudoph Giuliani, ma su Gentilini. Profeta della “tolleranza doppio zero”.
Il fatto è che la sinistra, soprattutto negli ultimi vent´anni, ha sostenuto il tema della “giustizia” principalmente se esercitata dai magistrati contro i poteri e gli interessi forti (Berlusconi, grandi imprenditori, i politici di governo). Oppure contro le grandi organizzazioni criminali (mafia, camorra e ‘ndrangheta; in alcuni casi “colluse” con i poteri e con gli interessi forti). Mentre ha sempre mostrato disagio di fronte alla “microcriminalità”, perché composta, in larga parte, da figure socialmente marginali. Quasi che, come ha osservato Carlo Trigilia sul Sole 24ore, il principio di legalità si dovesse adattare alla condizione sociale dei responsabili di illeciti. Ma i cosiddetti reati “minori” meritano la massima attenzione, e suscitano grande reattività nell´opinione pubblica, proprio perché non solo gli artefici, ma anche le vittime appartengono, prevalentemente, ai ceti popolari e marginali.
Tuttavia, è indubbio, e significativo, che il verbo “securitario”, in Italia, evochi, per riflesso pavloviano, Gentilini. Lo Sceriffo della “tolleranza doppio zero”. Il quale ha inaugurato, negli anni Novanta, un modello ispirato al motto “ordine e pulizia”. L´ordine: espresso da iniziative provocatorie, a chiaro contenuto simbolico (segare le panchine su cui stazionano gli immigrati), rafforzato da messaggi ancor più violenti (proponendo, fra l´altro, di mascherare i soliti immigrati da “leprotti”, per poi aprire la caccia, a colpi di doppiette). La pulizia: il centro storico trasformato nel “salotto di casa”, ripulito non solo dalle cartacce, ma anche da stranieri, accattoni e poveracci.
Per sopire l´insicurezza della società, in altri termini, si ricorre a iniziative provocatorie, indirizzate contro bersagli “esemplari”. Una politica efficace, dal punto di vista dell´immagine. Che, tuttavia, non risolve l´insicurezza. Perché la asseconda e, quindi, la dilata. Come dimostra, di nuovo, il caso di Treviso. Dove la Lega governa in Comune e in Provincia. E agita, periodicamente, “la paura” della criminalità, ma soprattutto degli immigrati, per motivi di consenso politico. Tuttavia, (come dimostra il rapporto curato dalla Caritas per il Cnel) il grado di integrazione degli immigrati a Treviso è, da anni, fra i più alti d´Italia. Grazie alla capacità di assorbimento delle imprese, alla rete di solidarietà dell´associazionismo cattolico (e non). Ma anche alle politiche attuate dalle amministrazioni locali leghiste. Che, per propaganda, predicano male ma, per necessità, razzolano molto bene.
Fa bene, allora, il centrosinistra ad affrontare, con decisione, il problema dell´insicurezza. Ma deve evitare di “imitare” questo modello. Non può, in particolare, accontentarsi della “politica dell´annuncio”. Perché, in questo caso, rischia di risultare poco credibile. Una “cattiva imitazione” della destra. Tanto più se promette ciò che poi non è in grado di mantenere. Giuseppe D´Avanzo, sulla Repubblica, ha sollevato il dubbio che il “pacchetto anticriminalità” possa effettivamente essere approvato entro l´anno. Perché mancherebbero non solo i “voti” (della sinistra radicale), ma anche i “tempi” tecnici.
Occorre poi chiarire il rapporto fra criminalità comune e insicurezza. Spiegare perché, negli ultimi anni, l´insicurezza sociale sia cresciuta mentre la microcriminalità, da tempo, sta declinando. Come dimostrano le statistiche fornite dallo stesso ministero dell´Interno (giugno 2007). Negli ultimi dieci anni, ad esempio, i furti di auto sono calati (l´8% solo nell´ultimo anno). I furti in abitazione quasi dimezzati, al pari degli scippi. Sono cresciute, invece, le rapine. Quasi del 50%. Ma vanno catalogate, piuttosto, nei reati maggiori. L´Italia, peraltro, presenta tassi di episodi micro-criminali non dissimili dal resto d´Europa.
Per affrontare il tema della sicurezza dei cittadini, dunque, occorre evitare “chimere”. Artifici ambigui, per impressionare l´opinione pubblica. Usare la lotta alla criminalità comune (obiettivo meritorio) come terapia all´inquietudine sociale. Altri fattori, ben noti, concorrono ad alimentare le paure dei cittadini. La società è insicura perché l´ambiente in cui vive è insicuro. Perché i legami sociali si sono indeboliti, perché le città sono diventate spesso invivibili e sempre meno vissute, perché il territorio si è degradato. Non è un caso che il massimo grado di insicurezza oggi investa proprio le grandi città. Che le categorie sociali più esposte siano gli anziani – i più soli. Ma anche i giovanissimi, che crescono in ambienti sempre più anomici; sempre più “violenti” (i quartieri periferici, il mondo della notte, le stesse scuole). La società è insicura perché le persone si sentono vulnerabili e isolate, in un mondo senza confini, che moltiplica tensioni e minacce. La società è insicura perché i media amplificano i fatti di violenza quotidiana. Per ragioni di spettacolo, oltre che di informazione. La società è insicura perché la politica invece di offrire certezze insegue e moltiplica l´insicurezza.
Argomenti che il ministro Amato potrebbe considerare afflitti dal vizio tipico della sinistra, che fa filosofia invece di “misurare le politiche sulla loro efficacia”. Tuttavia, noi dubitiamo che la lotta ai microcriminali possa realisticamente abbassare la soglia della paura. E dubitiamo perfino della sua efficacia, se mira ad aumentare la “concentrazione” di forze dell´ordine senza incrementare la “densità sociale”; senza legare l´azione della polizia al contesto e alla comunità locale. Noi dubitiamo che la paura e la criminalità comune si possano contrastare.
Fino a che, come avviene oggi, lo sviluppo dei quartieri e il disegno delle città verranno affidati (anzi: appaltati) alle imprese immobiliari. Fino a che lo spazio intorno a noi continuerà ad apparirci “ostile” e “straniero” (a prescindere dal numero di immigrati che lo popola). Fino a che il compito di garantire la sicurezza verrà affidato, se va bene, a una crescente presenza di polizia. Se va male, a surrogati folk: sceriffi e ronde padane. Oppure, come ormai avviene ovunque, a sistemi di videosorveglianza. Occhi liquidi, che monitorano un territorio sempre più deserto, attraversato da ombre.
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8 thoughts on “l’ombra della paura

  1. Alcuni perché, che andrebbero valutati (stiumati e misurati coi metodi delle scienze sociali e delle scienze economiche):

    – I mass media hanno scoperto di generare più profitto amplificando (o creando) qualunque tipo di notizia allarmistica. Ora è un modello generalizzato, piegato quando è il caso ideologicamente a seconda dell’azionista di riferimento del mezzo: giornali, televisioni, radio…

    – Il mondo attuale richiede(rebbe) a chi lo vive i mezzi di interpretazione critica più sofisticati di sempre. Il sistema educativo/pedagogico allargato (scuola, media, entertainment) mediamente se ne fotte.

    – Anche con l’apparecchio critico esistente, la presentazione dei dati in maniera appropriata basterebbe per correggere la percezione. Ma l’offuscamento delle informazioni (operato tramite la deliberata confusione tra oppinione e dato) è attivamente praticato dal potere politico e da tutti gli agentio che ne traggono vantaggio.

    Last but not least, il popolo è bue.

  2. Concordo un po’ con tutto, anche con il commento di AdRix. tuttavia la strada è in salita, bisogna esserne consapevoli. Io per esempio sono a Milano dal 2001 ed effettivamente complice la disgregazione della socialità, l’abbandono urbano e l’arrivo in massa di soprattutto di Rom ha creato tutte quelle condizioni di cui si parla nel post ed efettivamente più che la paura provo rabbia per il fatto che ci sia illegalità diffusa. Ma provo lo stesso fastidio per l’arroganza degli automobilisti o per l’inquinamento acustico dei tlefonini sui treni ecc.

    Allora credo che

    Primo: da un lato dovremmo essere consapevoli che nessuna trasformazione storica si compie senza conflitti – la storia del film “Gangs of New York” è vera e ci dice cosa succede a mettere assieme culture e sensibilità diverse. E quella storia è la storia fondante di una città-modella della nostra civiltà. Prima o poi troveremo la strada di un equilibrio, ma poi (come appunto accade a New York) accanto allo sviluppo raggiunto, ci troveremo sempre a dover “correggere” le distorsioni.

    Secondo: appunto, come è accaduto a NY si può arrivare alla necessità di dover “correggere”, ripulire, far rispettare le regole ecc insomma c’è un passaggio per il ristabilimento dell’ ordine che anche un governo di sinistra deve attraversare, è necessario e non è esastto dire che si segue il modello della destra, perché il modella delal destra è “ordine per l’ordine”, mentre il modello di sinistra dovrebbe essere “mettere ordine per poi scrivere nuove regole di integrazione”. Insomma non si possono seguire le regole di una “società aperta” senza creare le condizione per cui le regole qualunque esse siano, devono essere seguite. Promuovere l’integrazione senza la severità verso gli illegali contribuisce ancor di più alla confusione e aumenta la paura, dà l’impressione – e io nonostante mi senta lontanissimo da questo stile di vita lo sento, ho iniziato a sentirlo – di vulnerabilità. E sei sei vulnerabile scatta la paura.

  3. la rabbia, com’è vero, Mario. Io sto a Milano dal 1963 e forse la vedo diversamente, ma l’altro giorno andavo al lavoro, in pieno centro, e davanti a un bar dove una tartina costa uno stipendio un signore con divisa da alta finanza digrignava e sbuffava a mezza bocca contro un gruppetto di ragazzotti figli di mamma che attorniavano in pieno marciapiede un coetaneo stravaccato su motoretta dal costo ugualmente improponibile, rendendo difficoltoso il passaggio ai pedoni, tra cui il finanziere di cui sopra. Il suo commento iracondo è stato più o meno: non se ne può più di questi piccoli stronzi lavativi ma andate a lavorare andate.

    Onestamente credo che più che un passaggio di ristabilimento dell’ordine in qualche caso servirebbe un po’ di valium nell’acquedotto.

    (nel merito poi, la discussione sulla giusta severità contro l’illegalità diffusa, se intesa come corollario del caso fiorentino, dovrebbe tener conto almeno dei seguenti elementi: 1) lavare i vetri non è un reato, quindi “illegalità” è un pochino forte, e 2) il diritto si fonda sull’individualità della responsabilità: qualora ci sia un violento cioè qualcuno che commette veri reati, si persegue lui, non la categoria cui eventualmente appartiene – non so se è chiaro il rischio, altrimenti. Oppure con più onestà si abbia la decenza di scrivere che l’obiettivo effettivo è il decoro urbano, irrimediabilmente guastato da questa masnada di straccioni. Pretendere di perseguire due obiettivi incongrui con lo stesso provvedimento è un po’ troppo disinvolto, come tentativo)

  4. al di là di questioni di sicurezza percepita o no, per me rimane sempre un mistero come faccia la gente a rimanere in un posto come milano per più di 48 ore di fila. come mai non scappano via tutti, cos’hanno da perdere?

  5. Una doverosa libertà

    [..] In due interessanti post r.v. pone una domanda: Curiosamente, introduce questa domanda con brevi paragrafi sulla libertà, che in apparenza sarebbero fuori luogo, ma che invece servono a inquadrare il problema in una cornice di senso. Sostiene r. [..]

  6. Una doverosa libertà

    [..] In due interessanti post r.v. pone una domanda: Curiosamente, introduce questa domanda con brevi paragrafi sulla libertà, che in apparenza sarebbero fuori luogo, ma che invece servono a inquadrare il problema in una cornice di senso. Sostiene r. [..]

  7. Alisa Chshmarityan:Spasibo za tyielpye slova za tyielpy priyem v Belorussii. Mi gordimsya,za armyan za predelami nashey Rodini,za takix predstaviteley armyanskogo naroda, kak Nonna Nersisyan. Nonnochka ya rada,chto poznakomilas s vami!!!!Udachi v tvorcheskoy i lichnoy jizni!!!!Nadeyus eshe vstretimsya

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