Le idee popolari sono giustamente popolari? E quelle non popolari sono giustamente non popolari?
Messa così la domanda lascia un po’ di sale. Giustamente rispetto a cosa?
Granieri ci scrive un post qui: con linguaggio semplice e divulgativo (che, come si discuteva tempo fa, nulla dice circa la validità di ciò che dice) parla di rete e blogpalla, sostenendo tra le altre cose che:
(in rete) le idee troveranno il consenso che naturalmente meritano.
Se a qualcuno piacciono, avranno link e visiilità. Se non piacciono a nessuno, evidentemente, no.
(la precisazione che sta parlando di rete e non di altro è importante).
Mantellini, qui, ne parla. Secondo me fraintende un po’, infatti risponde come se Granieri avesse detto:
le idee troveranno il consenso che naturalmente meritano, cioè se sono buone tanto consenso e se sono cattive poco.
(il che sarebbe francamente insostenibile)
Granieri risponde ancora qui, un po’ precisando e un po’ no. Poi tocca a me.
Giuseppe, la parte descrittiva dei tuoi articoli mi pare ricostruibile così:
abbiamo un "piano" su cui proliferano minoranze (più preciso che non "piccoli mondi" come tu li chiami: allude al principio di riduzione, cioè di maggioranza, nei media a risorse scarse) sovrapposte, instabili, impermanenti e variamente connesse. Che transitino informazioni si spiega già con la struttura: se ogni minoranza è in realtà l’intorno delle mie frequentazioni, ognuna di esse (le mie frequentazioni) può avere me come sua frequentazione oppure no e frequenterà probabilmente altri che io non frequento. Quindi minoranze non è sinonimo di community come si equivoca: non sono gruppi omogenei con propaggini all’esterno o incursioni dall’esterno (da tali gruppi, se fossero massimamente coesi, l’informazione non uscirebbe mai). Propriamente non sono affatto gruppi, ma è la figura multipiano continuamente sfalsata delle relazioni di ognuno che produce un numero indeterminato di intorni coincidenti in modo vario, dalla quasi sovrapposizione (io e te condividiamo le stesse relazioni e siamo condivisi dalle stesse relazioni, tranne ovviamente la nostra reciproca relazione) alla totale estraneità (non abbiamo relazioni in comune e non siamo contemporaneamente nelle relazioni di nessuno). Un po’ come mettere uno sopra l’altro dei quadrati trasparenti e muoverli ognuno di qualche grado in rotazione o lateralmente, salvo che tali quadrati possono essere all’occasione notevolmente elastici.
Questo principio è economico, cioè ci permette di spiegare come le informazioni si diffondano senza ricorrere a leggi come quella del "meritato successo" (le idee ottengono il consenso che meritano – ma sarebbe meglio dire che ottengono un consenso sensato, cioè la cui sensatezza è ricostruibile), che trovo ambigua e su cui ho molti dubbi. Provo a esporli.
Intanto non è chiaro se vada applicata a opinioni, idee progettuali, informazioni, iniziative o altro. Per ognuna ci si può aspettare comportamenti diversi e assimilarli è un errore.
Inoltre, se è intesa in senso forte, come forse ha inteso Mantellini, cioè se si assimila il meritato consenso alla validità "apriori", la tesi è autocontradditoria e falsa (il che era piuttosto intuitivo, del resto, anche in rete). Basta svolgere la domanda: "l’idea secondo cui le idee ottengono il consenso che meritano otterrà il consenso che merita, cioè se è valida molto consenso, se non lo è poco?" e verificare che non sono possibili risposte decisive (la dimostrazione è lunga, sperabilmente non l’ho sbagliata, ve la risparmio ma potete farla da voi).
Intendiamola invece senso "debole", cioè: "le idee ottengono consenso a causa di molti fattori diversi e solo a posteriori possiamo dire "valida" o meglio "funzionante" un’idea perché ha risposto a certe esigenze di certi gruppi anche lontane dalle nostre, ma non possiamo a priori prevederne il successo in base a sue caratteristiche apriori o tantomeno in base a una sua presunta validità assoluta e tantomeno alla sua validità "per noi". Una sorta di pragmatismo alla James applicato alla rete, con i suoi stessi limiti e contraddizioni, o sbaglio?
Da una parte dice troppo poco, limitandosi a una tautologia – le idee popolari piacciono a qualcuno, cioè sono popolari – senza spiegare niente che già non sappiamo descrivendo la struttura del medium (le informazioni transitano).
Dall’altra parte dice troppo, anche in virtù della confusione tra informazioni, progetti e opinioni: parlare di "consenso meritato", o meglio sensato, a prescindere da una validità assoluta, che in questo contesto smette di vigere, imporrebbe di indagare sulle cause e le
finalità dei comportamenti, indagine per la quale non basterebbero le
risorse della sociologia e della psicologia, né di qualche filosofia
d’occasione.
Inoltre se, metti caso, l’opinione che tale tesi del consenso sia sbagliata ottiene meritato consenso, la tesi sarà da ripudiare, o no? Sì perché l’idea che sia sbagliata sta funzionando, ottiene consenso, no perché il fatto che quell’idea stia funzionando conferma che l’idea del meritato consenso è giusta. Ma giusta per chi? Se si rinuncia alla validità di una decisione in direzione della compresenza "tollerante" di tutte le decisioni possibili, non si può poi invocare quella validità per il discorso che parla di tolleranza. E del resto, se la nostra tesi vale solo per noi, come può descrivere qualcos’altro?
Infine proprio la struttura per minoranze, come si vede dall’ultimo
paradosso, imporrebbe di superare la distorsione ottica per cui si
continua a pensare a questo spazio come uno spazio di "opinione
pubblica" (nel senso storico del termine). Imporrebbe di pensarne la rottura, e descrivere un movimento del tutto diverso da
quello proprio dell’opinione pubblica e del consenso "democratico" – che si nutre di
media scarsi e mira alla riduzione a uno cioè alla maggioranza, e ha
un rapporto con la nozione di vero del tutto diverso. A dire il vero
ho già esposto queste idee tempo fa, senza alcun successo di critica o
di pubblico, quindi me le tengo per me. Così tra qualche tempo potrò
dirmi da solo: io lo sapevo prima (le piccole soddisfazioni
dell’impiegato…).