il bello del mattone

La poesia è un bene rifugio
come il mattone nei tempi di magro
non ci costruisci niente
e la resa è fissa dai tempi del latino
quasi zero, ma ci stai
come il vecchio che riposa fuori l’uscio
due stanze, servizi, qualche quadro
la lumaca attorcigliata nel suo guscio

7 thoughts on “il bello del mattone

  1. Laddove il blog è ormai una bolla

    sia pur nel vuoto speculativo

    che attrae la prosa del popolo bue

    cui non sfuggiam neppur noi due

    in preda al refluir dell’estro

    dall’esito talora assai maldestro

    che a quanti ci si parano dinnanzi

    come a Diogene la botte

    con strafottenza gli si dice

    o sole o ombra, chi s’en fotte…

    non ci costruisci niente

    e il prezzo è fisso dai tempi del latino

    quasi zero, ma ci stai

    come il vecchio che riposa fuori l’uscio

    due stanze, servizi, qualche quadro

    la lumaca attorcigliata nel suo guscio

  2. Eppure. Restano così. quieti e amati i versi

    da chi li scrive, sia pure con stanchezza:

    sai, quelle cose miti, un poco meste,

    che ti fan compagnia quando t’assenti:

    fantasmi ad abitare stanze vuote,

    che senza voci farebbero tristezza;

    parole d’ingranaggi, un po’ pulegge,

    mulini mossi sol da stanchi venti

    che pur non ne prevedon di diversi:

    restano sulla carta, sparse a gregge (gli “a capo” un poco sopra e un poco

    sotto, sparsi qua e là, la punteggiatura

    che fa il cane pastore, o ci s’ingegna); ma, si sa, è ben dura

    la professione di chi gorgheggia roco:

    e il verso, è cosa nota, non più s’atteggia

    a padron della pagina: al più è servo

    di scena,

    buffone, vecchio Yorick malfatto,

    che spernacchia e destra e a manca esterrefatto

    mentre il romanzo gli dà un altro schiaffone.

  3. Futili oggetti di un curioso gioco,

    ch’a tirarne la corda dura poco:

    e come persi nel gorgo di sciacquone

    diluiscono dell’estro l’emozione

    Ne resta il suono, l’eco di puleggia

    (quale arcaismo: ma rima con correggia)

    ed il sentir come dovere la presenza

    con il diritto di finire la licenza:

    chè, sfidando il pernicioso abbiocco,

    non può che squagliarsi in un “io tocco”

  4. @Davide, del resto questa parte ingrata del servo sciocco spetta a tutti prima o poi (spettò alla pittura con la fotografia e ne uscì benino, pare). Spetta anche al romanzo che spesso pare a mal partito con cinema e tv. Certe squadre di sceneggiatori di serial americani e il mezzo video fanno impallidire le pretese di molti artigiani della trama per iscritto: quei lavori li fa meglio l’industria, oramai. Forse conta la qualità dell’interprete. Per dire, Pornografia (per fare un titolo, ma che so, Centuria, o Infinit Jest o altro secondo i gusti) non solo resiste ma si avventura in zone della scrittura in cui “lo stesso in tv” proprio non funziona. Io non ho paura invece andrebbe al tappeto alla prima ripresa (a meno che il film non lo faccia salvatores). Persino muccino ha reso superfluo il “libro generazional-sentimentale dell’autore italiano pensoso e un po’ ammiccante” (una bella liberazione, in effetti). Ovviamente il fatto che una cosa sia superflua non vuol dire che non si continui a fare, anche con successo. Si deve pur campare.

    @Utente anonimo (si fa per dire): poi arrivò una busta? le poste italiane sotto natale non sono affidabili, mi dicono

  5. Conta la qualità dell’interprete, e la sua capacità di servirsi del mezzo specifico. E’ poi sicuramente vero che certi lavori li fa meglio l’industria (di fronte a NYPD Blue o a The Shield, mi vien da pensare spesso che la “comedie humaine” ormai ha preso la via della tv, e non c’è santo). Però è anche vero che il romanzo continua ad esercitare una vera egemonia nel campo del libro: e che anzi la sua egemonia è sempre più forte. La poesia mi sembra invece relegata in spazi sempre più marginali, anche nell’ambito del libro puro e semplice e senza chiamare in causa altri media: tant’è che gli editori non sono neanche più disposti a stamparla… non che io me ne rallegri, intendiamoci.

  6. certo, concordo. come diceva uno famoso, un tempo tutto si diceva in poesia, o in cose che sembravano poesia, con l’avvento di altri formati ciò che “sembrava solo” si rese superfluo. il dibattito credo sia: nello spogliamento progressivo, il campo del “dicibile poeticamente” si è solo spostato o si è ristretto al limite della sparizione? Ai posteri (o ai poeti)

    (quello delle case editrici credo sia anche un problema di marketing sbagliato. non degli editori intendiamoci, ma dei poeti che a furia di pensare romanticamente che poetico=incomprensibile si son tirati la zappa sui piedi. Imho e facendola giù grossa ovviamente)

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