eravamo quattro amici al bar

Il Sir, dalle nebbie di un periodo un po’ accidioso, si rivolge ai vecchi compagni di blogging per confessare:

Non so se capita anche a voi: provare la sensazione di non avere proprio nulla da dire, intendo. Come se “là fuori” non ci fosse nulla di realmente interessante, come se la grandissima parte delle cose che leggete, guardate, sentite fossero banali, poco rilevanti, quando non fastidiose.
A me sta succedendo da un po’. Capita, appunto, niente di straordinario. E il blog va di conseguenza, ovviamente. Si scrive “di mestiere”, spesso di sciocchezze irrilevanti, per mantenere l’allenamento, l’abitudine.

Conosco il problema, come (quasi) tutti del resto.
Premesso che, come dirà il più acuto dei commentatori di questo post, quando non si ha niente da dire è più onesto tacere, per via di un atteggiamento mentale che pencola sul patologico io non do mai la colpa a "là fuori", ma al mio modo di guardare, o di scrivere, o ai temi che scelgo. Le cose di cui scrivevo o i modi in cui lo facevo mi diventano progressivamente insopportabili, e mi vien da pensare: ma chi cacchio mi credo di essere per dire ‘ste cose? E così la vergogna, serva astuta ma non così influente da farmi chiudere bottega, indica al suo signore che è l’horror vacui il pertugio da cui farmi fuggire: mi sposto, cambio temi, o ci provo, parlo d’altro, in altro modo.

In apparenza il risultato, in questi cinque anni e passa, è che mi sono giocato via via una luminosa possibilità dopo l’altra: il commento politico da tuttologo che non sa niente, l’opinione di costume divertita che non fa ridere, la meditata riflessione irrilevante, l’approfondimento superficiale, l’infiammata presa di posizione a difesa di opinioni che non si sapeva di avere. Poi la narrazione immobile, l’aulico verso gracchiante, l’intimismo sudato, il sarcasmo patetico, la toccante confessione di vita della vita di un altro.

Certo, ci sarebbero le cose utili: la caccia a notizie non proprio risapute, o l’invenzione pura. Ma sono pochi quelli portati per la prima, e ancora meno quelli bravi nella seconda, io al massimo posso provarci ogni tanto, quando sono in stato di grazia, e anche in quel caso per me si tratta di imitare, di apparire più vero del vero, un esercizio, una simulazione.
Alla fine, se uno conserva un po’ d’amor proprio cosa gli rimane? Le recensioni dei libri, quelle almeno possono sempre servire a qualcuno, no?

8 thoughts on “eravamo quattro amici al bar

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