Il campo


(Post di maniera su tema nazional-popolare)

Ore ventuno. C’è
un po’ di tensione a pochi minuti dalla gara, ma è normale. Inspiegabile,
ma normale. Sto attento a fare un lungo riscaldamento soprattutto alla gamba
destra, per cercare di limitare i miei problemi inguinali. Alle volte mi
pare quasi che si voglia staccare, ma pazienza. Campo in condizioni perfette,
temperatura ideale, brezza leggera e piacevole: ma su di noi sta sospeso
uno strano e profondo silenzio, quasi fossimo i soli in quel campo e intorno.
Ci guardiamo tutti e quattordici e iniziamo.


Mi metto ultimo
uomo, come al solito, deciso a spazzare tutto lo spazzabile. Il loro centravanti
è uno di quelli che tira da qualsiasi posizione: gli arriva la palla, dribbling
secco quasi sul posto e tiro immediato, tutto in tre secondi. Necessario
non dargli spazio, francobollarlo appena arriva in zona, anticiparlo. La
gamba gira bene, il dolore è solo una piccola ombra. Durante la gara, qualche
volta lui mi salta, un paio di volte mi uccella letteralmente ma nel complesso
sono più le volte che lo costringo all’errore e riesco anche a fare qualche
buon anticipo, di quelli che demoralizzano l’avversario e ti fanno sembrare
un baresi redivivo, anche se in realtà hai solo visto arrivare la palla prima
di lui.


La partita è tesa.
Andiamo subito sotto, ma pareggiamo in fretta e poi ci portiamo sopra. La
squadra è compatta, tutti tengono la posizione, per gli altri è dura. Allunghiamo
il punteggio e tra gli avversari serpeggia un certo scoramento. Si corre,
sento il sudore sulla nuca, sono concentrato, cerco sempre di recuperare
la posizione. Mi piace quando riesco a impostare, a far filtrare una buona
palla, a giocare di prima, per quanto il privilegio del centrocampista non
sia nelle mie corde. O ultimo uomo o ala, a quanto pare.


Siamo belli da
vedere, credo, anche se non riesco a pensare come sarebbe davvero osservarci.
Forse è solo una proiezione, una sensazione che non possiamo condividere.
Il tempo scorre, noi corriamo, loro corrono. Ci siamo solo noi, il campo,
loro, il cielo sopra, l’orologio. Le gambe e il sudore, la bellezza di una
trama imprevista che si dipana dai piedi, dai movimenti. Le prodezze e gli
errori marchiani, in un silenzio immoto, rotto da frasi e brevi urli lontani.

Verso il finale
loro accorciano, hanno deciso di attaccare in massa. Facciamo un paio di
contropiedi micidiali, ma poi siamo un po’ stanchi e subiamo la reazione.
Uno dei nostri si infortuna, uno dei loro esce per bilanciare. A un minuto
dal fischio siamo pari. Al fischio siamo sotto di uno. Pazienza, il risultato
conta fino a un certo punto. Sciamiamo assieme, sotto i platani, negli spogliatoi,
tra le chiacchiere, i brevi racconti concitati. L’acqua che ti toglie dieci
gradi centigradi in un colpo solo, i muscoli a riposo sulle panche, il vapore.


Vestiti e ancora
bagnati, sentiamo la voce di uno degli organizzatori nel corridoio. Sembra
che su un altro campo la nazionale di calcio stia pareggiando senza troppo
onore. Non ho idea se anche a quei giocatori faccia piacere la sensazione
del sudore sulla nuca e delle gambe che girano. Certo non salteranno mai
una loro partita per guardarci. Nemmeno noi, del resto.

6 thoughts on “Il campo

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