balzac, illusioni perdute

 Non è che mi metto a recensire Balzac, ovviamente. Non sembra ma conservo un po’ di senso delle proporzioni. Vorrei solo dire che questo libro – prototipo fino a oggi di infinite variazioni sul tema “affresco sociale di un’epoca”  – sarà una splendida rivelazione per tutti coloro che, senza averlo ancora letto, lavorano nel rutilante mondo del giornalismo, dell’editoria, dei media in generale. Il modo in cui Balzac ne descrive la “fase eroica” e ne svela, forzandoli a modo suo, i meccanismi, ha una tale potenza evocativa, tragica e assieme beffarda che solo certi passaggi shakespeariani lo eguagliano.

Le Illusioni perdute – a detta dei tanti che ci hanno riflettuto sopra da quando è stato scritto – rimane un modello inesauribile perché, con ogni probabilità, nessuno è più riuscito a bilanciare così bene due esigenze diverse attraverso l’utilizzo simultaneo di tecniche compositive conflittuali: da una parte l’estrema competenza nella ricostruzione dell’ambiente descritto – con termine ambiguo si direbbe “realismo” – cioè una perfetta ambientazione e rappresentazione precisa di tutti gli elementi determinanti ottenuta per conoscenza diretta e non tanto per procurare “effetti di realtà” cioè illusionistici, ma per collocare adeguatamente le vicende; dall’altra l’utilizzo misurato ma deciso di elementi e temi assolutamente “letterari” e non realistici che derivano dalla tradizione del romance (l’eroe e le sue peripezie, l’aiutante, il traditore) e soprattutto di una tipizzazione sociale del personaggio e dei dialoghi alla ricerca non dell’individuale, ma del comune.

Questo conferisce al testo un tono visionario, nervoso ed eccessivo la cui origine è continuamente occultata – perché non dipende dall’andare sopra le righe nello stile verbale, come fanno i mediocri, ma dall’accostamento di due serie tematiche incongrue – e soprattutto permette all’autore di “parlare del reale” (esigenza che guida tutta la letteratura da duecent’anni a questa parte) in modo del tutto sui generis: non piatta, monocorde e immobile verosimiglianza col “banale quotidiano” o col “dramma individuale”, ma messa in scena dinamica e corale che sa mostrare gli effettivi conflitti, la loro origine nei reciproci rapporti e gli esiti di tali rapporti nei sentimenti dei personaggi.

È il suo enorme vantaggio competitivo sia verso il realismo del senso comune, che scambia la storia con la natura e considera ciò che sta sotto il suo naso come oggettivo, quasi metafisico, limitandosi a presunte fotografie, volta a volta beate o sconsolate, che mancano del tutto il movimento del reale, sia verso i realisti “bendisposti” e progressisti, che scambiano le proprie acerbe aspirazioni al bene con la realtà e con la letteratura, finendo per dar credito, nella rappresentazione, alle stesse illusioni auto-indulgenti e consolatorie che Balzac, qui, metodicamente distrugge.

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