alessandro baricco, i barbari

Una parodia di storia della cultura che si prende terribilmente sul serio, non sapendo di esserlo. L’assunto di base – fornire una lettura non snobistica della “mutazione culturale” contemporanea, qualunque cosa questo voglia dire – è senz’altro lodevole. Ma ci si ferma lì. Il libro è semplice, ma vuoto. Del testo divulgativo gli manca la correttezza: è approssimativo, prende un fatto empirico e ci cuce sopra una teoria universale (esempio: una volta si faceva vino di qualità, ma arduo, oggi vino spettacolare, ma seriale, hollywoodiano, effettistico. È  la mutazione! No, è che non compri i vini giusti e non capisci che “una volta” il 95% della popolazione beveva il vino del contadino, per cui, a mercati mutati, il vino seriale devi confrontarlo a quello, non al barolo del 1800, che peraltro manco abbiamo idea di come fosse). Al tema dell’avvento delle democrazie – che sarebbe magari quello da cui partire per mettere sui piedi un’analisi degli eventi sensata – dedica un capitoletto un po’ titubante e dubitativo, per non osare troppo. In molti passaggi poi prende proprio cantonate (il romanticismo non è “l’ideologia della borghesia” tout court, su. Un po’ di dialettica). Monta a neve delle scemenze – prima eravamo profondi, ora siamo superficiali. Cos’è, un’autocritica? Oppure: prima per trovare il senso occorreva scavare, oggi basta saltare, connettere. Che la cultura sia creare connessioni, più o meno da Neanderthal, gli sfugge. E tira conclusioni sul futuro della fruizione culturale, alcune già smentite dai fatti dopo pochi anni dall’uscita del libro. E quando dice cose condivisibili, purtroppo sono anche ovvie.

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