Purtroppo devo confessare che l’avevo già letta in rete nei giorni precedenti. Ops
. In quell’intervista Shirky (che, data l’ignoranza crassa che mi contraddistingue, non avevo idea di chi fosse) dice in pratica due cose.1) L’utilizzo "stupido" della rete – condividere le foto dei gatti, per dire – è importante quanto l’utilizzo "serio". La motivazione di Shirky: è tutto il tempo sottratto alla tv, cioè a un mezzo che rende passivi, quindi è tempo guadagnato perché rende attivi.
2) La sindrome più temibile che può colpire chi usa la rete è l’ansia di perdersi qualcosa, fosse anche l’ultimo pettegolezzo del subamico di quarta categoria; il bisogno di consultare continuamente le proprie fonti, di rimanere connessi. Dice, Shirky, che a rimanere connessi certamente non c’è niente di male, purché si sappia che qualcosa lo si perderà per forza, è la natura.
Niente di nuovo, insomma, ma interessante.
Forse però si può essere più circostanziati: più che essere tuile per limitare l’uso della tv, giustificazione che andrebbe bene anche per «esco la sera per fare il serial killer», l’utilizzo "stupido" della "parte abitata della rete" ha un senso proprio: in quanto uso di massa, costruisce il tessuto stesso delle relazioni e di conseguenza il transito delle informazioni – anche delle informazioni che definiremmo inutili o dannose, va da sé (consiglio sempre di non sovrapporre i giudizi sull’utilità tecnica con quelli sulla bontà etica).
Inoltre l’utilizzo "stupido" di piattaforme relazionali non è affatto stupido da un altro punto di vista, più "pratico", che riguarda il rapporto tra gestualità, relazioni, manipolazione di strumenti, estensione di protesi sensibili. Anzi, da questo punto di vista l’uso basic di massa è una delle molle più potenti, se ben interpretato dagli utenti/tecnici, che spingono l’evoluzione tecnica delle interfacce, ossia il mutamento morfologico degli ambienti, che decide ciò che si può o non si può dire/fare al loro interno. L’uso indica implicitamente ed esplicitamente quali ambienti sarebbe desiderabile abitare, prefigurando interfacce future.
Infine: la memoria che si può attivare in una rete fatta di relazioni non è cumulativa e sequenziale, ma regionale e a macchie di densità, e quindi sintesi e sguardi di insieme sono impossibili. Ne consegue che "perdere" e più ancora perdersi non va considerata l’eccezione, ma la regola.
Niente di nuovo, appunto.
Dimenticavo: la mia copia di Wired non l’ho pagata, la davano gratis all’incontro con Lessig. So che a volte fuziona così. Decisamente non sono in target. Mi chiedo chi lo sia, però.
Pure io mi chiedo quale sia il target, e anche che tipo di lenti porti. (Forse nel terzo numero daranno in omaggio degli occhialetti 3D che permettono di distinguere i titoli dai sommari dal testo dalle dida dalle firme dalla pubblicità dal colophon e di districare le righe con interlinea sotto il minimo di legge?)
Zio Ric.
Mi sono abbonato x due anni (costava 20 euro) e dopo aver letto il primo numero mi son reso conto che pure io son fuori target. Se dice cose che mi interessano, mi appare superficiale. Se dice cose per me non interessanti, la maggior parte, è superfluo e “lento”. Ho la sensazione che non sopravviverà a lungo.
ciao zio ric. be’, anche la copertina in comoda fòrmica ripiegabile 2/4 posti non era male
adrix, un abbonamento di due anni a 20 euro per un giornale che ne costa 4 è un filo strano. io ad esempio farei così: dopo 4 mesi lo chiudo accampando scuse e mi intasco i 4 euri rimasti. ma non è detto che tutti siano saggi come me.
La copertina in fòrmica (ora si dice “laminato” 🙂 ) l’ho potuta apprezzare solo oggi estraendolo a fatica dal cellofàn.
meno male che non l’ahi comprato! come dice Labranca:
“Numero 1 di Wired Italia. Stessa grafica di Uomo Vogue. Stessi collaboratori da Dipiù TV”
cletto
chiaramente quell’ahi è voluto (via di mezzo fra verbo avere e esclamazione di dolore quando cade sul piede il numero in questione di wired…)