Olimpiadi

Avrà avuto almeno settant’anni e se l’avessi visto in una serata di gala, fasciato in un completo scuro dei suoi tempi avresti notato l’eleganza della figura snella ancora perfettamente eretta, il cranio sollevato in una posa altezzosa e quasi nobiliare, la chioma argentata e ben distribuita e le mani asciugate dal tempo ma ancora mobili ed espressive, con dita affusolate e perfettamente padrone di afferrare con decisione e porgere con garbo.
Io invece lo vidi per la prima volta emergere dall’acqua del lago a piedi nudi sui sassi della riva, barcollante, la canoa che dondolava malcerta sotto il braccio destro e addosso solo un costume sgambato più adatto a uno di quei giovani bulli di paese che assediavano il pontile esibendosi in tuffi avvitati per far colpo sulle straniere. L’acqua grondava sul petto di tacchino, le lunghe gambette scarne tremolavano e il viso era tirato in un sorriso, o meglio un ghigno di sollievo sfinito di chi dà mostra di essersi divertito “davvero da morire”.
Dev’essere stato orribile invecchiare in un tempo che idolatrava la giovinezza.
La loro capanna era la prima, direttamente affacciata sul lago, appena un metro dal punto in cui la riva pietrosa diventava prato, sotto i pioppi, spartana anche più delle altre benché più ampia. La moglie, di dieci anni più giovane, una specie di valchiria alta e bionda dal volto innaturalmente rugoso, il cui seno immemore esplodeva dentro un costume intero che lasciava scoperte le gambe magre, evidentemente un tempo atletiche e ora più simili a due lunghi tronchi malamente affusolati alla base, lo precedeva come sempre di qualche passo. La sua canoa giaceva inerme ai piedi mentre lei, gambe larghe e braccia alla nuca, scioglieva i lunghi capelli bianchi infradiciati dal lago e ridotti a una massa di alghe lunari esplodendo in un respiro tonante, uno sbuffo da centometrista pronto allo scatto.
Io ero poco più di un bambino ma ricordo bene lo stupore e il pungente ribrezzo che questi due corpi sportivamente rattrappiti, queste incongrue simulazioni di vigoria fisica e giovinezza mi suscitarono. Certo era facile per me allora, morbido, nuovo e nemmeno sgrossato com’ero… Era comunque opinione comune tra tutti i villeggianti, abitudinari frequentatori della spiaggia e del bar e olimpionici cucinatori di salamelle e costine alla brace, che il desiderio del vecchio di essere fisicamente all’altezza di lei, di non esserne umiliato, l’avrebbe portato alla tomba.
Così l’altro giorno me ne stavo seduto sul divano e l’occhio mi è caduto sulla mia mano destra. Ho sempre avuto una grande confidenza col mio corpo, specialmente con alcune sue parti. Le osservo, le tocco, le metto in posa per un istante… Conosco ogni millimetro delle mie mani e onestamente ne sono sempre andato anche piuttosto fiero. Non mi fido più molto del mio cervello e da qualche anno ho a malincuore accettato che peli e capelli vadano progressivamente sbiancando anche nei posti più imbarazzanti. Ma non sospettavo che anche le mani potessero tradirti. Quelle pieghe non erano le solite pieghe, ce n’era qualcuna in più, immotivata; e la carne tra pollice e indice appariva appena svuotata anche se in verità impercettibilmente, e l’opacità appena accennata della pelle del dorso, una sua strana e appena avvertibile secchezza come di terreno che va perdendo l’umidità e comincia a inaridirsi parlavano chiaro.
Rivedevo il mio corpo lanciato nella corsa su una pista di atletica, nemmeno tanti anni fa. O forse sì. Tanti.
Vicino a casa c’è un impianto sportivo fornito di tutto, con tanto di pista in tartan e tribunette. In provincia, è noto, siamo messi meglio che nella metropoli dove i politici tendono a fottersene bellamente dei loro elettori preferendo la compagnia di immobiliaristi e finanzieri. Pensavo, quest’autunno, di andarlo a vedere quell’impianto, magari di chiedere come funziona l’iscrizione, se ce ne vuole una. Immaginavo di andarci da solo, una sera, quasi in incognito (incognito da me stesso, ovviamente, visto che in paese non conosco praticamente nessuno). Mi vedevo entrare nello spogliatoio mentre i ricordi avrebbero cominciato ad affiorare; il sudore, i compagni di allenamento, le ragazze di là, poi i giri del parco come riscaldamento… La pista, le serie di  esercizi. Massaggiarsi un muscolo stesi sul prato in mezzo alla pista respirando la sera e le sue luci calanti, senza pensare a niente, solo la piacevole dolenza di un muscolo e l’odore del proprio corpo sano.
Lo scatto, il cronometro, il giro di pista, il battito ritmato e veloce dei passi calpestati sul terreno, nel silenzio.
Pensavo, non so come, che fosse possibile uno strappo personale all’ordine generale, quello che prevede la rotazione degli astri e il computo del tempo e con esso la inarrestabile degenerazione dei tessuti, il deterioramento delle prestazioni, non riuscire più a fare cose che pensavi naturali, anzi connaturate al te. Pensavo che tanti anni di oblio, di stasi, tanto tempo senza rimettersi a correre avrebbero anche potuto avere un effetto miracoloso e inatteso, preservare muscoli e tendini, ossa e articolazioni dal logorio dell’uso, dallo sfarinamento dovuto all’esercizio continuo. Una sorta di crioconservazione sottovetro che mi avrebbe consentito una seconda giovinezza. Fantasticherie di mezza età.
Così, quest’inverno ho deciso di rinunciare all’ascensore e anche a stabilire il nuovo record dei 400 metri piani per over 40. Non ci saranno valchirie disperate al mio capezzale erboso di fresco infartuato.
Piuttosto vorrei fare come lui: inviterò l’orribile vecchiaia a un giro sulle rapide, lei all’inizio perplessa, preoccupata che io non possa farcela ma poi gelosa della propria superiorità, desiderosa ancora di primeggiare, si farà convincere. E al momento buono, lei avanti di una decina di metri che pagaia furiosa contro i flutti in un punto pericoloso, con un eskimo ben congegnato cui mi sono allenato di nascosto da mesi simulerò la mia scomparsa e guadagnerò la riva col salvagente, lasciandola a lottare da sola contro le acque ribollenti, nel tentativo di ripescarmi.

Al funerale (era una così brava nuotatrice, è inspiegabile… le correnti, certo…) il vecchio, perfettamente eretto, indossava un abito scuro, un volto contrito per l’improvvisa disgrazia e un piccolo, vezzoso fazzoletto da taschino.

6 thoughts on “Olimpiadi

  1. La cosa che mi lascia “sconvolta” non è tanto il vedere i cambiamenti del mio corpo, ma quella specie di sensazione di vuoto, di breve tuffo al cuore quando ti rendo conto che stai andando avanti, che non sei più come ti sembrava di essere, che non si torna indietro…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.