la conturbante perfezione eccetera – 2

(…segue da qui)

Da una parte mettiamo il narrare storie compiute, dall’altra il frammentario, rapsodico riepilogo di sé che ognuno tende a fare nel tremolante e incerto tribunale della propria consapevolezza: verrebbe spontaneo tracciare bene la differenza. Si vorrebbe negare soprattutto che la prima attività possa essersi sviluppata a partire dall’altra: la fioritura di miti e formule narrative comuni, dal fragile e farfugliato trattenersi con se stessi e con il proprio passato – al contrario semmai: solo a partire dal muoversi infantile dentro architetture di significati raccontati, nella luce dei loro riflessi emotivi, il singolo può imparare ad abitare certe costruzioni di senso e con i materiali di scarto di quelle, mettere insieme alla meglio il camerino delle proprie semi-oniriche e continuamente mutanti auto-interpretazioni, dalla quale uscire di volta in volta travestito da eroe forgiato dalle sue ambigue esperienze, o da sconfitto ma mai vinto, da adepto sempre in cerca, da vittorioso contro il drago, da salvato, da perduto ma interessante, da pettegolo curioso o da goffo tenero e sfortunato, da meritevole di sofferenza, da furbo mascherato da stupido (che quasi sempre è uno stupido mascherato da stupido…), da gaudente e persino da personaggio secondario lieto della sua terza fila, a seconda del dramma o della commedia, del tono e delle forme in cui di volta in volta riesce a fondere come in uno stampo una ben selezionata e inevitabilmente erronea scelta dei propri ricordi.

[
Il progetto adolescenziale, esistenzialistico che brama "un significato per la propria vita" pecca a quanto pare di astrazione, dimentico com’è che "significato" è un risultato terminale e per di più instabile, non è una chiave d’accesso o una descrizione preventiva: non uno quindi, ma infiniti significati per la propria vita, come infiniti sono gli sguardi e gli appelli, i gesti, le richieste e i resoconti, i commerci, gli appetiti e i contatti "produttivi di significati" che intratteniamo con noi stessi e con gli altri prima che la domanda circa il significato possa anche solo esser posta in un momento di ozio o di sconforto.
]

E non è nemmeno possibile correggersi: quale sarà mai l’interpretazione corretta, che tien conto di tutti i fatti e li calibra nella loro relazione oggettiva? "Che anni meravigliosi… o forse erano terribili? Allora mi pareva d’essere triste, non sapevo di essere felice… Erano scelte sbagliate, ma oggi dico che mi hanno formato…". Sarà, ma anni di stupidità, come possono aver partorito un uomo saggio? Convocherai tutti i testimoni dell’epoca per avere la loro versione dei fatti? E su che base se già la tua versione è lacunosa e così evidentemente parziale e interessata? Che cosa è veramente successo? «Tutto può avvenire, tutto è possibile e probabile. Su base minima di realtà, l’immaginazione disegna nuovi motivi: un misto di ricordi, esperienze, invenzioni, assurdità e improvvisazioni».

Solo in un caso questo "riconoscere sé con l’altro da sé" dalla natura così sorprendentemente risarcitoria, autogiustificativa quando non assolutoria, pare tacere: sono i casi di umor nero più profondo, nei quali l’assoluzione vien meno perché persino il narrare di sé tende a spegnersi e tutto ciò che ci accade e ci è accaduto appare, lì davvero, soltanto e puramente sordo e muto, aleatorio, intercambiabile, in una parola in-significante. E non a caso, come in chi sia privato della memoria e non possa ri-narrare se stesso (come nel caso di Jimmy) siamo a un passo dal collasso, dalla catastrofe dell’identità.
L’errore mistico ritiene che il linguaggio sia un gettone e la storia una menzogna, che dietro ad esse ronzi l’essere autentico nella sua racchiusa verità.
Ma per quanto tu tolga, troverai
sempre nell’oggetto i tuoi occhi fissi su di te, troverai rapporti. È la calamità autobiografica, che la letteratura lirica – che con le storie narrate ha un rapporto perlomeno ambiguo – ha imparato a conoscere molto presto, come ad esempio nel testo che segue, di Andrea Inglese.

Non posso non raccontare la mia storia.
Chiamo questo: calamità autobiografica.
Doversi fare una storia, andarla ad estrarre
come una scheggia, tra i tessuti fragili
della pelle, a rischio di

sbriciolamento,

farla nascere, imprimere un’esasperante lentezza
a questa cosa mai accaduta, mai appianata,

a questa x

pulviscolare, interrotta,
istantanea,

di cui si hanno dintorni a perdita d’occhio,
coltri che circondano,

di cui si ha un infinito accerchiamento

senza possibilità di approssimarsi
di dire: bambino, io, mia pelle, caduta sulla ghiaia.

Ci sono in compenso radiografie
molte, a partire dai quattro anni
rimangono quaderni di scuola,
copertine di quaderni,
rimangono dintorni, paesaggi documentati, scontrini.

Di quale storia si parli non è chiaro,
renderla mia è rallentare,
dare il controdocumento, dall’interno, dal buio della x

dare qualcosa dal centro, inventare che ci sia centro
mettendo in prospettiva e simmetria e successione
e comparando tutte le ferite, i punti di sutura.

Quel ferimento è il lato interno
di quello che fuori è pura traccia,
puro ritardo,

perdita,

documento. Anagrafe.

(Diventa sempre più chiaro qui che la faccendo ha iniziato a compiere un bel giro e il sottoscritto sta faticando a tenergli dietro…)


(continua…)

8 thoughts on “la conturbante perfezione eccetera – 2

  1. una volta ho fatto un pezzo in 5 puntate, non è detto che non riesca a dare l’assalto al record (sai la teoria che sul web ci vuole comunicazione veloce, rapida, breve… tutte cazzate, perdinci! 😉 )

  2. Sono in consonanza con l’assenza di centro, lo sbriciolamento e l’impossibilità di una storia autentica, anche la propria… Sono in consonanza anche anche con l'”errore mistico” che definisce la storia come menzogna, purché si parli di menzogna tattica e si chiarisca che non c’è l’originale.

    Non sono molto convinto dell’ipotesi (di alcuni contemporanei) che fuori della storia, del linguaggio e dei loro scarti non ci sia “realtà”. Un po’ troppo spettrale come prospettiva… e ci consegna troppo precocemente al pulviscolo.

  3. concordo. che fuori dalla “storia” o dal “testo” non ci sia realtà in senso stretto è un estremismo filosofico che io – e i miei amici analitici – troviamo del tutto assurdo. 🙂

    • robespierre lunedec, 17 dicembre 2012, 11:20 amCaro Meo, ti covninci o speri?Comunque secondo me anche se Monti non si candidere0, tra una destra divisa e allo sbando, un centro inpalbabile e una sinistra troppo schiacciata sulle posizioni estremiste di Vendola e Camusso, vincere0 Grillo.E il governo della redistribuzione ai parassiti restere0 una chimera.Caro Meo, mi permetto un appunto personale: se sei un cosec convinto assertore della redistribuzione perche9 non dai il buon esempio e cominci a redistribuire i tuoi milioni?

  4. Ah, ma questo è indubitabile, signori!

    Ad esempio oggi, appena salito sul treno affollatissimo, ho aperto la mia copia della “montagna incantata” e sulla pagina avevo il segnalibro, in saccoccia i guanti e in fianco ben tre umani seduti ai loro posti, di cui una mora, uno anziano, e uno che emanava un odore nauseabondo di dopobarba. L’olezzante aveva un comportamento spavaldo e gesticolante e mostrava i tratti evidenti del maschio in cerca di compagna. Poco dopo la partenza infatti, all’uscita da una galleria, ha tentato persino un vano approccio con la mora ma questa, esemplare anatomicamente notevole della sua specie, completamente assorta nell’osservazione della pagina aperta di un giornale di moda, ha rigettato l’invito con un minimo movimento del sopracciglio che ha ridotto all’impotenza il grosso maschio, gettandolo in un torva prostrazione per tutto il resto del viaggio. L’anziano è rimasto a lungo con lo sguardo fisso all’esterno del vagone che avanzava nella nebbia, solo un leggero piegamento del labbro al sorriso ha testimoniato a un certo punto la sua presenza. Giunti alla stazione di arrivo il maschio si è sbracciato per qualche istante cercando di attirare ancora l’attenzione, poi si è dato alla fuga. L’anziano e la mora si sono alzati e si sono avviati verso l’uscita: a metà del corridoio lei teneva la sua mano sinistra sotto il braccio di lui, come per sorreggerlo affettuosamente.

    Tutto questo per testimoniare che fuori dalla storia, dal testo, che tenevo saldamente in mano e quindi non poteva avere effetti misteriosi di sorta, c’era un sacco di realtà già stamattina alle sette! E molto in senso stretto! Quasi non si riusciva a camminare!!

    bg

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