del modo in cui le canzoni hanno a che fare con noi

Ho tredici anni e sono in piedi sul retro scoperto di un furgone guidato da un diciottenne conosciuto un’ora prima al bar, assieme a mio fratello, che di anni ne ha diciassette e a due ragazze, di sedici anni, che stanno da sole in una tenda canadese proprio di fronte alla roulotte dei miei genitori. Siamo in Calabria e quella è la prima tenda canadese in cui sono stato da solo con una ragazza. È successo due giorni fa. Lei è la più bella delle due o almeno a me è sempre sembrata la più bella, l’altra è troppo magra. “Lei” ha i capelli biondi, il costume da mare due pezzi, la pelle chiara appena abbronzata. La tenda è minuscola.
«E tu che scuola fai?».
«Sono in terza».
«Mh. Sai, alle superiori è tutto diverso».
«Più bello, vero?».
«Sì, anche. È diverso».
L’amica era solo andata al bar con mio fratello a comprare bibite, non sono stati via più di dieci minuti.
Il tempo interminabile della vacanza lo passiamo ascoltando musica dal loro stereo portatile. Le ragazze parlano più che altro con mio fratello, che già fa politica a scuola e ha molte cose da raccontare. Quando mi permettono di stare con loro dimentico finalmente i miei giochi da ragazzino – un sacco di formiche in quel campeggio, me le ricordo ancora e loro credo si ricordino di me – e mi aggrego al gruppo: sto parecchio zitto, guardo tutto e respiro senza saperne nulla un’aria di libertà assoluta che mi accelera il sangue e mi morde le carni, ignaro di ogni cosa. Quel pomeriggio il furgone procede a passo d’uomo nel viale alberato, mentre l’autoradio manda a tutto volume “Com’è profondo il mare”, del cantautore Lucio Dalla. Noi quattro ridiamo come sul ponte di una nave che salpa. Anch’io sto cantando, com’è profondo il mare.
Mi sembrava che avere la vita davanti volesse dire tutto. Un po’ come succede a tutti.

(mi piaceva il titolo, il post è quello che è)

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