un notista inesistente

Cosa dovrebbe fare un partito di opposizione al 25-30% per migliorare la propria sorte? A buon senso, almeno queste tre cose:
– definire un profilo politico e identitario forte e autonomo, nettamente distinto da quello dei suoi avversari;
– costruire un sistema di alleanze omogenee;
– sperare nella disgregazione politica degli avversari al governo e cercare eventualmente di costruire, attraverso la propria offerta politica e alla luce del sole, dei motivi per favorirla.

Più o meno quello che ha fatto il PDL quando era all’opposzione, no? Era alleato con la Lega sapendo di non poter vincere da solo e ha cercato altre alleanze al Sud, ha costruito nel tempo un profilo identitario forte (una sorta di neo-comunitarismo conservatore condito in salsa berlusconiana) e ha brigato per mostrare ai centristi dell’Unione che la loro scelta a favore della sinistra era stata avventata.

Per Panebianco, autorevole e ascoltato notista politico del Corriere, l’attuale a dir poco pallidissima immagine del PD deriva invece dal fatto che:
– spera nella disgregazione dell’avversario previa fine politica della persona di Berlusconi (accusa che semmai andrebbe rivolta a Casini e magari a Fini, oltre che al partito-Repubblica: che il PD abbia mosso un dito per disgregare politicamente il centrodestra è tutto da dimostrare e aggiungerei purtroppo);
– cerca alleati invece che insistere sulla propria vocazione maggioritaria (!), che dev’essere una formula magica che se la pronunci ti procura il 51% con la sola imposizione delle mani;
– su punti importanti di identità politica, come ad esempio l’immigrazione, il PD non la pensa esattamente come il governo, ma al contrario palesa l’incomprensibile velleità di essere contrario al reato di immigrazione clandestina e di non ritenere che i respingimenti siano una bellissima cosa (posizioni terzomondiste, secondo Panebianco, che cita a sostegno lo Zapatero muscolare, fidando sulla forza del noto argomento "se uno fa una cazzata perché non dovrei farla anch’io?")

Ma lo fanno il test del palloncino in redazione del Corriere, prima di distribuire fogli e pennarelli?

[saldi] 5 povere domande 5

Insomma non è stupefacente che, costruendo una campagna politica su questioni di morale personale e nello specifico di morale sessuale, si finisca per riconoscere e di fatto giustificare un ruolo centrale a chi dell’intromissione nella morale personale e sessuale fa la sua ragion d’essere, cioè alla gerarchia cattolica?

E poi non è stupefacente che, dando quei contenuti alla propria battaglia, ci si trovi a dover solidarizzare con chi, solo qualche mese fa, definiva Englaro un boia?

Non è stupefacente che il tentativo piuttosto scoperto di infilare un cuneo tra chiesa e governo puntando su questioni di morale personale, si risolva in un regolamento di conti interno a quei due soggetti che finisce per mettere fuori gioco i più moderati e timidamente critici a favore dei falchi?

E d’altro canto non è stupefacente che, accendendo tutti i riflettori possibili e immaginabili su una persona, si contribuisca a ingigantire la sua centralità nell’immaginario collettivo – impresa che, considerata la smisuratezza dell’ego della persona in questione, i mezzi di cui dispone e la sua già nota tendenza al culto della personalità pubblico-privata, pareva francamente impossibile?

Non è stupefacente, infine, che il tentativo di far esplodere le contraddizioni nell’opposto schieramento appoggiandosi a temi che mai starebbero nell’agenda del proprio (quel genere di campagne tipo; «I leghisti non difendono a sufficienza il nord, vedi Malpensa?», o: «Anche i presunti cattolici sono gran peccatori, guarda B.», o ancora: «Malgrado il vostro razzismo le strade sono ancora insicure, ecco la foto del rom che strupra col pensiero»), non è stupefacente che finisca per aggravare le proprie, di contraddizioni, rendendo ancora più complicato chiarire con chi si è d’accordo e in vista di cosa, dando centralità all’agenda degli altri come fosse l’unico terreno possibile di discussione e l’unico progetto di società disponibile sulla piazza, comprimendo tutto lo spazio di manovra della propria parte e riducendo all’afasia politica il maggior partito d’opposizione, già di suo piuttosto portato alla confusione mentale e al silenzio?

Dai, non è stupefacente tutto ciò?

No.

opaco blocco di potere laicista

Se fossimo complottisti, o romanzieri, potremmo raccontare che, preoccupato dalla piega che andavano prendendo gli eventi e da certi spifferi e scricchiolii, qualcuno non troppo esposto ma molto informato ha aperto un polveroso cassetto di una polverosa scrivania in una fumosa sacrestia dove era conservato in mezzo a scartoffie senza valore, per non dare nell’occhio e per ogni futura evenienza, un certo oscuro documento, l’ha piegato in quattro, infilato in una busta senza mittente né destinatario e fatto recapitare, a mano, alla persona giusta.

Mai spingersi oltre e turbare equilibri troppo precari per resistere a scosse violente. Ora tutto può tornare a quella fruttuosa collaborazione che abbiamo tante volte sperimentato, per il bene superiore. Il grande peccatore assicura discrezione, d’ora in poi, e la consueta solerzia nella produzione di buone leggi, la sacrestia torna finalmente alla sua missione morale e alle sue prediche ai fedeli e ai suoi ammonimenti e ai suoi consigli, il sacrificato, facendosi da parte, dà la colpa ai nemici di chi l’ha sacrificato assicurandosi così la benevolenza e il risarcimento che gli spetterà, una volta accettato e scontato il giusto rimprovero per i suoi peccati di vanità. Il suo ex giornale passa a CL.

Ma noi non siamo complottisti e ahimé nemmeno romanzieri e siamo incapaci di distinguere la veridicità di questa da quella di altre, persino peggiori, versioni dei fatti. Così non ci resta che continuare a sorridere perplessi e a scuotere il capo di fronte ai tanti misteri del mondo.

cospirazioni e camicie di forza

Discuti oziosamente, come accade in certe chiacchiere serie, e c’è sempre quello che sta zitto per un po’ e poi interviene con foga, altre volte sornione, compiaciuto, e piazza lì l’argomento a suo dire decisivo. Ma che state a battibeccare su queste cose, c’è ben altro dietro. Fatti del giorno, per capirsi: il discredito che ha colpito Grillo, dopo inizi promettenti? Una manovra del sistema dei media che l’hanno ostracizzato da quando lui ha minacciato di colpire il finanziamento pubblico ai giornali. Come facciamo a non capirlo? Le campagne sulle zoccole presidenziali? Non state a perderci tempo, ci sono gruppi editoriali che si fanno la guerra per procura allo scopo di spartirsi fette miliardarie di una torta di soldi e non temete, è tutta una manfrina, alla fine alle minacce seguiranno gli accordi, seguono sempre. Voi non vedete quello che si muove dietro le quinte.

Dietro le quinte si muove di tutto, in effetti.
Ma io dico: perché limitarsi a tracciare le mosse di una lotta casalinga e provinciale? L’ombra di Murdoch e del suo impero non la vedete? Fa molto più al caso nostro. Ecco servita una lotta tra titani dell’economia mondiale che muovono le loro pedine a chilometri di distanza dalle nostre teste. Che poi, cosa sono un po’ di chilometri? Come non vedere che sopra queste beghe da pollaio si giocano partite ben più decisive e stratosferiche? Vi è forse sfuggito il ruolo del Cavaliere e della sua amicizia col potente Putin, il tentativo di lucrare questo legame (col suo sottofondo di rapporti oscuri tra mafie russe e palermitane) e di spenderlo vendendosi come mediatore al potente Impero Americano? Quali inimicizie può mai creare un simile ardito tentativo? E non vi siete accorti che tutto è iniziato con l’ascesa del primo nero? No, più in alto, ragazzi, più in alto: non possiamo scordare il ruolo delle mafie emergenti – quella campana in combutta con quella cinese – e le loro ambizioni planetarie, in inderogabile rotta di collisione con le mafie suddette e precedenti. Le mafie? Non so voi, ma io sospetto che questa sia solo superficie, lo stagno dove nuotano i pesci rossi e dove i bimbi tirano monetine. Stiamo parlando dei veri attori o di misere comparse, prestanomi a loro volta manovrati da intelligenze più sottili, più celate, che tirano le fila di misteriosi giochi? Piccoli magnati, criminali da quattro soldi, mezzi dittatorucoli e loro pari non sono forse che semplici pedine di strutture segrete, associazioni, logge massoniche dai poteri sconfinati, capaci di muovere i destini di nazioni e popoli interi al solo sfiorare piccole leve finanziarie con le loro delicate dita. La massoneria? Una fragile copertura, non penserete che sia tutto qui! Mai sentito parlare dei Sette savi? E del dio degli gnostici?

La mentalità cospirazionista si ferma sempre troppo presto, purtroppo, non è all’altezza, non segue le tracce, non trae le conseguenze. Chi ne è affetto finisce sempre per scegliere una tappa del grande complotto, quella che gli si adatta meglio e si siede su un singolo gradino della infinita e circolare scala a chiocciola della cospirazione universale. E crede a quello, solo a quello, come si crede al sole che sorge al mattino. Una camicia di forza personale che forse salva dall’internamento coatto, dalla visione della orribile spirale. Nessuno che veda un po’ più in là, dannazione, nessuno che scorga l’infernale disegno di cui siamo solo tratti provvisori, presto cancellati da potenti mani, per l’eternità. Non lo vedete, anche voi, quel disegno? Non lo vedete? Non lo vedete?

frangette, nuovismo e funivie per i piani alti


L’intervista di Serracchiani, in cui annuncia il salto della barricata, la trovate su Repubblica.

Ora il pippone, se volete.

La mia impressione riguardo alla battaglia congressuale nel PD (che esprimo prima che siano presentati i programmi, ché dopo son capaci tutti) è che le distanze effettive tra i due contendenti non siano molto ampie, per usare un eufemismo, né in campo socioeconomico né sul piano della gestione del partito. Sul primo piano, quello che una sinistra laica e moderata in Italia e in Europa più fare è noto e se non è noto lo spiegherà Bersani nei prossimi giorni; al massimo ci si può distinguere per sfumature. Franceschini cercherà di puntare su un’immagine più liberal, ma avendo dall’altra parte la coppia Bersani-Letta non sarà facile trovare pertugi per infilarsi. Bersani userà la parola magica "lavoratori", ma la sua vicinanza con Ferrero e Rifondazione è più o meno quella tra noi e Saturno. Alleanze: Bersani aprirà alla sinistra, con un occhio al centro. Franceschini aprirà al centro, con un occhio alla sinistra. Entrambi diranno che si tratta di costruire, lavorare, ecc. Entrambi ignoreranno Di Pietro.

Quanto al partito, entrambi in sostanza proporranno un partito fatto soprattutto di luoghi, di persone e di territorio. Bersani le chiamerà sezioni e l’altro circoli. Soprattutto, il primo punterà maggiormente su un partito in mano agli iscritti, il secondo cercherà con moderazione (ma con enfasi nelle dichiarazioni) di aprire ai "cittadini non iscritti" legittimando primarie aperte. Posizione alquanto strumentale, a essere maliziosi: Franceschini è più debole nel partito e il regolamento congressuale lo vede sfavorito nella votazione dell’assemblea elettiva, per cui punta tutto sul risultato delle successive primarie (secondarie in questo caso…). Questo spiega perché sia partito sparato con argomenti demagogico-populisti tipo "noi siamo il nuovo, non ridaremo il partito ai vecchi": intende evidentemente solleticare il sentimento anticasta e presentarsi come alfiere del rinnovamento, mobilitando il "popolo" in una gara di entusiasmo per ribaltare il risultato all’ultimo minuto nelle primarie. Un alfiere del rinnovamento sponsorizzato da Fioroni, Marini e Fassino, per dire.

Serracchiani, in questa situazione, gioca le sue carte nel modo ardito di chi ha ambizioni, bisogna riconoscerlo, e col cinismo di chi non si fa scrupolo di presentarsi pieno di ideali. La sua intervista è un concentrato di furberie dalemiane occultate da verniciate di nuovismo, frangette e parlar diretto. Ecco qualche spunto di riflessione.

1) «Noi siamo il nuovo, gli altri il vecchio». E per segnalarlo appoggia Franceschini, alias Fioroni, alias Marini, sostenuti da Fassino. Dato che non è ingenua si deve pensare sia in malafede? E lo appoggia, par di capire, perché le hanno offerto un posto di comando. La cosa più difficile, si potrebbe dire, è sempre applicare a se stessi i criteri di giudizio che si pretende di applicare agli altri. Allora era meglio appoggiare Sofri (poverini i piombini: sono partiti due anni fa con l’idea del rinnovamento, l’hanno corteggiata per sei mesi e lei, con gesto dell’ombrello incorporato, se ne va con un democristiano… No, ok, forse meglio di tutto era stare fuori e lavorare seriamente per il prossimo giro. Mah.)

2) «Lo appoggio perché Franceschini metterà gente nuova, tipo me». Siccome tra persone civili non contano gli appoggi o l’età ma i meriti e le capacità, messa così significa: vogliamo più posti per noi, dataceli per cooptazione. Legittimo, ma non proprio nuovissimo.

3) I famosi contenuti nuovi. La mia impressione, già detta sopra, è che talmente poco distanti saranno i due programmi (che, badate, non si possono chiamare piattaforme programmatiche, perché fa vecchio. Serracchiani ragiona come un caporedattore di Vanity Fair che fa shopping in corso Como), così poco distanti che occorrerà distinguersi con la retorica, per non dire con la demagogia. Fino all’utilizzo spudorato delle peggiori tecniche berlusconiane, ben sintetizzate nella scorrettissima frase "noi siamo il PD, loro sono il nemico" (il giornale riporta "D’Alema" ma si legge come ho detto io). Senza quel nemico il PD, va detto, sarebbe al 13%, occorre forse che Serracchiani ne prenda nota? Ma no che lo sa benissimo…

anche i cavalli fanno tiepidi sogni

«Nel mio cuore ci sono due cose, fin da bambi­na: la fede in padre Pio, che mi ha aiutata a supe­rare i momenti più difficili della mia vita, e il so­gno di diventare ballerina».

Barbara Matera, candidata alle elezioni europee, dal Corriere

C’è un sacco di gente che crede a padre Pio. E un sacco che vorrebbe fare la ballerina. Moltissima gente poi ama guardare persone belle, o famose, o entrambe le cose assieme, vivendo un po’ di luce riflessa. Sono tutte attività innocue, oltre che diffuse. Ma molta meno gente vuol fare politica e pochissima ama i politici. Ora, unire le due serie di cose non è facile, se lo fai maldestramente la maionese impazzisce. Ci vuole un bel po’ di preparazione e abilità nello svolgere la ricetta, ma se agisci con pazienza, è l’uovo di colombo.

Perché ognuno vuole essere rappresentato da qualcuno che gli somigli. Il trucco probabilmente è dare a tutti, per tempo, uno specchio taroccato che mostra un’immagine sola e dirgli: questo sei tu. Poi basta vendergli quell’immagine per molto tempo e, al momento buono, candidarla. Ha funzionato in grande, i tempi erano maturi perché funzionasse anche in piccolo.
Poi, si sa, è successo quel che è successo…

(Eppure considera le cose anche da quest’altra angolazione: le persone fanno sogni, perché la vita "è" desiderio e non ci sono desideri degni e indegni e il loro valore non dipende dall’essere raffinati o ingenui, plebei o altolocati. Dipende dall’essere o meno i "loro" sogni. Ora invece stiamo tra chi vende desideri in scala dal più individuale al più generale, buoni per la ragazzina e per il Paese intero e funzionali a fottere entrambi nei rispettivi corpi vivi o elettorali, e chi non sa più desiderare né per sé né per tutti e così guarda ai desideri con sospetto pensando siano i desideri, specie quelli altrui, il problema. L’alternativa che a tutti viene posta è tra finire sbranati e vivere nella pancia dell’orco o digiunare fino a una nobile estinzione. Per rompere lo specchio, allora, immagino che non basti togliere il proprio nome dal menu delle pietanze. Occorre rimettersi in cucina e cucinare per sé e, magari, per molti.)

marciare divisi e perdere tutti assieme

Tratto dal blog di Andrea Mollica, ecco uno degli ultimi sondaggi per le elezioni europee.

PDL 40,8
LN 8,5
PA 2,2
PD 26,1
IDV 7,5
PR 1,1
UDC 4,8
Com 3,1
SL 3,5
Altri 2,4

I dati disegnano uno scenario in realtà piuttosto noto, che non muterebbe se le percentuali fossero un poco diverse.

Il centrodestra raccoglie circa la metà del consenso elettorale e lo fa con due soli partiti: PDL e Lega. La restante quasi-metà del consenso elettorale, tolta una quota residuale di non allineati di destra (Storace), sta a "sinistra" di PDL e Lega, ma si compone di sei partiti nessuno dei quali alleato con qualcuno degli altri.

L’esperienza del passato evidenzia tre questioni piuttosto ovvie:

1) quando il "centrosinistra" (anche senza la recente variabile UDC) si presenta alle elezioni unito, è in grado di contrastare efficacemente il centrodestra in termini numerici.


2) Quando riesce a presentarsi unito alle elezioni e magari anche a vincere, il centrosinistra regolarmente si spacca durante la legislatura successiva a causa dell’assenza di un reale collante politico costituito da un progetto strategico comune.


3) Il centrodestra è riuscito a costruire la propria unità sulla base di un progetto politico, per quanto raccogliticcio e aiutato da circostanze favorevoli (la fuoriuscita dell’UDC, l’esistenza di Berlusconi). Il centrosinistra continua ad affidarsi, invece, o a soluzioni ingegneristiche che passano attraverso la riformulazione dei meccanismi elettorali (maggioritario, premi di maggioranza, referendum), pensando che quello che non si ottiene politicamente lo si possa ottenere per via tecnica, eliminando gli alleati: un’idea piuttosto primitiva che in 15 anni non ha portato alcun risultato. O viceversa persegue l’unità per via di tatticismi e accordi di basso profilo, spesso in chiave "anti" piuttosto che "per", con esiti sempre catastrofici quanto alla tenuta delle alleanze così costruite.

Quello che ne deduco, da osservatore non particolarmente acuto e solo a un livello formale, è che l’eclisse del centrosinistra durerà finché non emergeranno, contestualmente, una leadership e un progetto politico in grado di rappresentare per le forze sparse a sinistra del blocco PDL+Lega – o in alternativa per i loro elettori! – una prospettica strategica comune di lungo periodo. Cioè, non solo un accordo tattico, ma un’alleanza sulla base di un progetto di società.

Sarebbe stato piuttosto logico aspettarsi che una simile iniziativa partisse dal soggetto numericamente più grande, il PD, se non altro perché quello che può apparire un limite, la varietà di posizioni interne che una grande stazza porta con sé, in questi casi può valere come risorsa.
Osservando i vari posizionamenti in vista del prossimo congresso, purtroppo, non sembra al momento un’ipotesi molto credibile. Né Franceschini, né Bersani, né Letta appaiono possedere il profilo di "leader nazionale" in grado di federare in modo stabile la loro parte e le loro visioni strategiche appaiono piuttosto inadeguate, quando vi sono.

fare politica in rete, ma fuori

«Gli ho chiesto cosa sarebbe accaduto se avessimo perso, e lui mi ha risposto che l’importante era la campagna elettorale, che l’obiettivo era quello di migliorare il processo politico nel Paese, di coinvolgere la gente. Mi spiegò che voleva costruire una relazione con i suoi sostenitori e che anche tra di loro nascesse una relazione. (…) Il web ci ha dato modo di avere più gente nelle strade, più sostenitori che hanno fisicamente bussato a un numero molto maggiore di porte e parlato davvero a un numero molto più grande di persone. Il nostro obiettivo non era quello di trasmettere un messaggio dal vertice alla base in modo nuovo, ma quello di creare, come voleva Obama, una relazione con i supporter e dei supporter tra loro, mettere le persone al lavoro, non con gli ordini, ma con gli stimoli, dando ad ognuno tutto il materiale necessario online affinché ognuno si sentisse libero di fare quello che sapeva fare meglio. Nei nostri video, nei nostri messaggi, Barack Obama appariva poco, il nostro messaggio non era "votate Obama" ma "fate sentire la vostra voce"».

dall’intervista a Joe Raspars, responsabile della campagna elettorale di Barack Obama per i nuovi media

Uno degli equivoci riguardo all’utilizzo della rete a scopi politico-elettorali sta in un’idea di partenza sbagliata, secondo cui internet servirebbe al più a diffondere il messaggio con "nuovi strumenti". Che poi sarebbero i video semi-amatoriali stile Di Pietro e poco altro: capirai la novità. Dato che non è così, per svariati motivi, dato che, al contrario, altri mezzi sono persino più efficaci per far giungere a destinazione il contenuto emotivo del messaggio, e dato che non siamo in Birmania dove ciò che dice l’opposizione è pressoché sconosciuto a chi utilizzi solo i canali e i media ufficiali (ok, anche qui un po’ ci avviciniamo, ma visto il livello di ciò che l’opposizione dice da noi, quasi quasi è meglio così…), dato tutto ciò, la deduzione ugualmente sbagliata è che la rete sia pressoché inutile per spostare consensi.

La rete è inadatta a costruire centri focali di attenzione, va da sé: è costruita allo scopo contrario! Ed è ovvio che una mera diffusione del messaggio, con testi e video, sposta poco se nasce e muore sul web. Le discussioni intanto fanno cambiare idea alle persone meno di quanto le confermino nella loro idea iniziale, senza contare che un’azione di convincimento "ipnotico" sul modello dello spot elettorale è per principio poco efficace in un luogo dove chiunque la pensi diversamente può intervenire, quasi allo stesso livello del messaggio, per contrastare o smentire o spernacchiare quello che hai appena faticosamente finito di dire tra violini e squilli di tromba.

Tuttavia la rete può essere assai utile in politica, purché lo scopo non sia diffondere il messaggio, cioè aprirsi un sito personale con il proprio faccione e il curriculum in bella vista, o un blog in cui si parla al popolo per fargli giungere il proprio fondamentale e altrimenti introvabile progetto politico… quanto piuttosto a) creare una relazione tra chi si propone e chi lo potrebbe supportare, b) tra coloro che lo supportano tra di loro, c) infine tra chi lo supporta e chi è effettivamente destinatario di un "messaggio".

Attivare e motivare (o ri-motivare) sia chi è già della tua idea, sia chi lo è diventato da poco, sia chi è già militante, sia chi può diventarlo; fornire loro strumenti agili e leggeri per un’auto-organizzazione operativa efficente – la rete e i social media; attivare queste cellule distribuite e autonome sui vari territori non ultimi quelli "fisici", tipo scampanellare ai vicini di casa per fare campagna, portare volantini, discutere in salotto o fare un banchetto nella piazza del paese.

Un modo inteligente di pensare questo processo anche da noi è di vederlo in sinergia, non in competizione, con le strutture "fisse" di base di cui i partiti dispongono (sezioni, circoli ecc.). Un modello di guerriglia per "commando" ben informati e agili a muoversi nei propri territori da sviluppare durante le campagne, può benissimo convivere con un modello più strutturato, stabile, che costituisce il livello di base dell’organizzazione democratica – cioè dotata di cariche elettive – di un partito. Anzi, i due livelli possono aiutarsi e stimolarsi a vicenda.

Al momento esiste un caso di studio che apparentemente – salvo ulteriori analisi che pesino meglio i vari fattori – ha funzionato, ed è appunto la campagna per Obama.