my own private madagascar

«Che figata essere Berlusconi! Che esperienza piacevole di cui non smetterei mai di godere! Popolo, eccomi, sono il tuo re! Lo testimonia l’enorme accumulo di ricchezze, di potere e di figa che mi contraddistingue. Sono proprio io, popolo! Non credi ai tuoi occhi, vero? Applaudimi spontaneamente! Insomma, come si fa a non adorarmi? Se non fossi Berlusconi penso che mi adorerei anche io. Niente di personale gente ma io sono migliore di voi. E tuttavia io, Berlusconi (è il mio nome) vi voglio bene anche se non ve lo meritate e ho pietà delle vostre misere testoline, per cui intercederò presso gli Dèi miei pari. Cosa desiderate? Cosa vi può aiutare a sopportare la vostra inutile esistenza quotidiana priva del lusso minimamente accettabile e del fulgore della divinità? Volete che invada uno stato confinante e instauri un’ideologia utile a mascherare la sua spoliazione a beneficio degli interessi delle classi dominanti? Volete che faccia piovere per sei mesi? Volete che proclami sospesa fino a nuovo ordine la decadenza corporale in cambio del versamento di un congruo obolo? Lo posso fare, la base scientifica e le mie amicizie lo consentono! Miei sudditi, o voi inferiori in quanto non proprietari come il sottoscritto di sontuose ville in luoghi ameni del pianeta dotate di tutti i comfort e di stuoli di servitori di ogni tipo pronti a soddisfare qualsiasi desiderio e brama, io, Berlusconi (è sempre il mio nome) vi dico di alzarvi! Alzatevi dunque! E unitevi a me nell’adorazione del sottoscritto! E nel legittimo perseguimento di tutti i vostri desideri più nascosti e lubrichi! Purché essi non contraddicano i miei! Ditelo tutti insieme! Che figata essere Berlusconi!».

minimo comune multiplo

Riepilogando una stagione di inchieste e scandali: quelli di centrodestra incappano in beghe di soldi e affari, quelli di centrosinistra in faccende di lenzuola. Il che conferma la profonda adeguatezza, anzi la missione cosmico-storica del nostro premier, che unisce in sé tutte le più profonde aspirazioni del Paese.

eclisse di milano

Succede in genere una o due volte l’anno, in coincidenza di venti forti da Nord, nubi altissime e veloci, piogge recenti. L’aria d’improvviso è tersa e quasi profumata, la luce ovunque, trasparente, il cielo! e non una lastra di metallo. Prospettive verticali tra i palazzi serrati, all’infinito. Prende alla sprovvista persone, cose e la rada vegetazione e le trapassa così che tutto appare appena emerso, implume e tremante come un riflesso sulla superficie di una bolla, appena nato. Dura poco, come un’eclisse al contrario.

(Oggi però non era proprio così, eh. Vento troppo debole. Diciamo una via di mezzo)

science friction


# 36
Un ricercatore scopre che, in base a complicati calcoli demografici, la specie umana si estinguerà entro i prossimi 5000 anni. È anche in grado di stabilire di chi sarà discendente l’ultimo umano sulla Terra: si tratta del pro-pro-pro-ecc.nipote di un giovane impiegato presso un’agenzia immobiliare di Bristol, attualmente scapolo e senza prole. Consueta ressa di fotografi e televisioni, poi la notizia, come tutto, passa in secondo piano. L’uomo, un fatuo piccolo borghese dedito a innocue vanità, rimane molto toccato dalla singolare scoperta e dopo aver vagliato attentamente le decine di profferte amorose di sconosciute giunte via posta miranti al titolo di "grembo dell’ultimo uomo sulla Terra", decide di scrivere una lettera a quel suo lontanissimo e futuro parente, per il quale crede di provare un affetto toccante e sincero. Nella lettera si diffonde su molti particolari intimi e irrilevanti e si rivolge al pro-pro-pro-ecc.nipote come a un figlio, dandogli del tu. Alcuni giorni dopo l’uomo viene investito sulle strisce pedonali da un autotrasportatore che aveva esagerato con la birra e muore nel trasporto in ospedale. Nei mesi successivi la donna che aveva "scelto" millanta pubblicamente una fecondazione mai avvenuta e, messa incinta dal suo ganzo, ottiene una pensione dallo stato. Il figlio fuggirà di casa a 16 anni e farà perdere le sue tracce. La lettera scritta all’ultimo uomo non verrà mai ritrovata. Per il vero finale occorre tuttavia attendere circa 5000 anni.

# 18
Su un pianeta lontano la società è rigidamente divisa in due: un gruppo di abitanti opprime l’altro in modo esplicito e plateale. Coloro che si ritengono superiori trattano gli altri da subumani sottoponendoli ad angherie e umiliazioni fisiche e psicologiche, esercitando su di loro un comando così radicato, che molti tra gli inferiori lo considerano parte dell’ordine naturale delle cose e altrettanti nemmeno se ne accorgono, sorridendo spesso tra di loro per l’ingenuità di quelli che manifestano qualche dubbio al riguardo. Un’antica profezia, sconosciuta ai più e fraintesa dagli altri a causa del suo linguaggio fortemente metaforico, pare tuttavia annunciare l’arrivo, in un tempo imprecisato, di un eletto, che dovrà spezzare le catene e risarcire gli inferiori delle loro sofferenze. Compare dunque sulla scena un uomo dalle origini incerte, dotato di un indubbio fisico del ruolo, che pretende di essere la vivente realizzazione di quella oscura profezia. Invitato all’istante nel talk-show di prima serata si rivela ricco di acume logico ma purtroppo del tutto incapace di prendere la parola in un dibattito in cui dominano gli insulti artefatti e le scorrettezze più smaccate. Caduto rapidamente nel dimenticatoio, passa gli anni successivi oppresso dal vizio del bere e sbarca il lunario scommettendo su improvvisati incontri di boxe da strada, che gli lasciano ferite nello spirito e nel corpo. Scommette in genere contro se stesso ma per orgoglio finisce per vincere, cioè per perdere. Gira anche un paio di spot assieme a vecchie glorie dello sport nazionale pubblicizzando un dentifricio e un franchising di cibo etnico. Un giorno, svegliatosi di buon’ora e avendo definitivamente perso il lume della ragione, indossa l’abito da eletto – una tunica bianca un po’ consunta – scioglie i lunghi capelli biondi venati di grigio e si incammina verso la sede del governo deciso a farsi esplodere, nel mentre arringa i passanti sull’avvento di una nuova epoca di giustizia e pace. La narrazione si interrompe quello stesso giorno, in un tramonto infuocato a causa dell’eccesso di inquinanti dispersi nell’atmosfera. Il suo fallito attentato non viene trasmesso da nessun network a causa dell’improvvisa notizia di una pacifica rivolta di giovani "inferiori" che occupa tutti i TG locali. A capo della rivolta c’è il figlio del capo del governo.
(Questa storia appare così improbabile, lagnosa e priva di reali spunti di interesse narrativo che converrà caricare oltremisura la caratterizzazione del personaggio per salvarla dalla noia più mortale).

#65
Gli alieni invadono la Terra. Purtroppo si confondono e, a causa di un errore di calibrazione dei loro analizzatori di forme vitali extra-aliene, sbarcano sul pianeta convinti che la specie dominante sia il gatto. Così ingaggiano una guerra mortale coi gatti, tra lo stupore degli umani che assistono alla feroce battaglia. I gatti vincono facilmente, dato che gli alieni sono alti 13 centimetri e hanno un forte sapore di acciuga marinata. In seguito gli umani utilizzano la tecnologia degli alieni estinti per creare un cibo per gatti di nuovo tipo. Malauguratamente, il nuovo cibo per gatti contenente tecnologia aliena produce un effetto indesiderato: rende i gatti estremamente intelligenti e aggressivi. Nel giro di sei mesi dalla sua immissione sul mercato, i gatti sottomettono gli umani e ne prendono il posto come specie dominante.

(segue)

il paese irreale


I jeans le piacciono?

«Non ho simpatia per questo genere di abbigliamento, sono un po’ stufo di vederli».

Li ha mai indossati?
«Mai, lo snobismo della rusticità è sempre sgradevole».

È importante avere una guida nella vita e io da tempo ho scelto lui: da chi altri potrei imparare il buongusto? E lo sapevo, lo sapevo che non mi sbagliavo! Anche questa volta è una nerbata che mi elettrizza, una luce che perfora la nebbia. Così alzo subito gli occhi dall’assetata lettura – l’intervista a Gillo Dorfles sul Corriere, pagine di Milano: «Perché la moda mi interessa» – e lancio un’occhiata indagatrice alla popolazione del mio vagone metropolitano delle 8,15. Della ventina di persone che riesco a vedere, almeno dieci indossano jeans, e di questi: tre peruviani, due ragazzi sdruciti che vanno a scuola (insignificanti minorenni insapore), tre scialbe impiegatine con la sportina di cartoncino al braccio – jeans attillatissimo, modello blu scuro – un giovane non ben identificato di quelli che non si capisce mai che lavoro facciano e una mamma sovrappeso che sicuramente fa l’impiegata statale, rappresentante di quelle élite che non vogliono mollare le loro rendite così deleterie per il Paese. Punto il mio sguardo sui peruviani, perché io lo so dove si annida il male. Papà, mamma e una creatura incolpevole, tutti e tre coi jeans e oltretutto il modello chiaro e un po’ largotto. Li guardo e li sto già compatendo: sono talmente persi nel loro snobismo della rusticità… Questa recita, questa spocchia così risaputa e scontata… Non lo sopporto, devo quasi distogliere lo sguardo. È proprio vero, l’autentica democrazia del gusto non è per tutti.

Format per socialcosi

Sono utili, sono semplici, li usano tutti. E calzano alla perfezione. Modelli in similpelle a metà prezzo. Offerte speciali per militi e pensionati.

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COLLEZIONE AUTUNNO-INVERNO. I NUOVI MODELLI

Questa cosina qua
«Oddio che cosa bizzarrissima e ironicissima ho appena visto, non so proprio come fare a non comunicarvela!».

Bridget
«Non trovo il fidanzato e ne parlo molto, con un pizzico di agrodolce ironia».

Siffredo
«Per misurare la nostra proverbiale ironia facciamo un bel sondaggio».

Bridget Maxi
«Me ne succede una al giorno, sono proprio una simpatica pasticciona, ma per fortuna conservo il mio buonumore e una giusta dose di saggia autoironia».

Trivial
«Mi sto mettendo le dita nel naso (facendo il bidet), come sono ironico ah ah».

Intimissimo
«Oggi mi sento un po’ così… Purtroppo non so se riuscirò a conservare quell’ironia e quella leggerezza che sempre mi contraddistinguono».

Comic sans
«La cronaca mi offre sempre nuovi spunti per fare commenti davvero ironici e spiritosissimi, e per fortuna che io sono un umorista davvero inesauribile».

Uterale/reale
«Infilo otto parole a caso molto suggestive e oscure così si intuisce che parlo di me ma non si capisce una mazza. Pensano sia ermetico, nessuno sa quanto sono tortuosamente ironico».

Sentimental
«Ogni tanto mi arriva ‘sto momento che devo fare una riflessione sull’esistenza profonda e velata di malinconia, ve la dico così come mi viene (nei commenti però torno ironico eh)».

Figli d’arte
«Non posso proprio fare a  meno di sembrare irrimediabilmente stronzetto e scostante qualsiasi cosa dica, ma è solo il mio modo di esprimere una deliziosa e straniata ironia nei confronti della bizzarria del mondo. Tanto vale farne un mestiere».

la verità su cesare giulio, segretario


IL COMPLOTTO CONTRO GIULIO: FINALMENTE LE INTERCETTAZIONI


[nota del direttore] Dietro le improvvise, clamorose dimissioni dell’ormai ex segretario Cesare Giulio, segnalato attualmente in una località della costa tunisina, si stendeva, ignota ai più, una fitta trama di movimenti occulti e di relazioni interne al sottobosco del potere capitolino. È quello che possiamo dimostrare grazie alle intercettazioni giunte a questa redazione da fonti che non possiamo rivelare. Le trascrizioni non lasciano ulteriori dubbi: si è trattato di una congiura di palazzo condotta nell’ombra e senza scrupoli. Le voci di un ricatto di natura sessuale, circolate insistentemente nei giorni scorsi e di cui esisterebbero anche prove fotografiche, non vengono al momento né confermate né smentite. Intanto il senatore Cicerone, sfiorato dagli schizzi di fango di quello che promette di essere lo scandalo del millennio, è partito ieri per le isole greche a bordo del suo deltaplano Dedalus, senza rilasciare dichiarazioni. Ma ecco i testi, così come sono giunti sul nostro tavolo
.


***

Telefonata, 15 febbraio, ore 18,30. Il giornalista Gaio Cassio chiama Marco Bruto, figlio dell’attrice Servilia Cepione, nota amante del segretario Cesare Giulio.

CASSIO: Venite a vedere le corse?
BRUTO: No.
CASSIO: Ma vi prego.
BRUTO: No, non mi piace la calca: non sono mica un Marc’Antonio! Andateci voi, Cassio, non ve lo impedisco.
CASSIO: Bruto, vi sto attenzionando da qualche tempo: siete spento, non vedo più in voi quell’allegria gaia che trovavo prima.
BRUTO: Niente moine, Cassio. Se vi sembro triste è solo per, ehm, questioni personali.
CASSIO: Scusate, Bruto, devo aver interpretato male il vostro stato d’animo; però dovreste vedervi… Avete una cera!
BRUTO: Ma che avete, il videotelefono?
CASSIO: Eh, ci vorrebbe proprio un aggeggio del genere. Sapete, i migliori di Roma, tolto Giulio, pensano ai nostri tempi difficili e vorrebbero che un ggiovane stimato come voi, pieno di meriti, avesse mille occhi per vedere…
BRUTO: Parlate con lingua biforcuta, Cassio, dove volete arrivare?
CASSIO: Ora vi spiego, non voglio dire niente di voi che già non sapete.
(Si sentono rumori di fondo, grida e acclamazioni da stadio)
BRUTO: Che baccano d’inferno. Temo proprio che il popolo voglia eleggere Giulio sindaco. E sticazzi.
CASSIO: Ah sì, lo temete? Allora devo credere che non lo vorreste?
BRUTO: Non lo vorrei, Cassio, ma cosa importa? Eppure lo amavo molto…

Telefonata, 17 febbraio, ore 16,30, utenza privata del segretario Cesare Giulio. La voce dello sconosciuto è rozzamente contraffatta ma l’utilizzo di appositi software fa sorgere il sospetto che si tratti del giornalista Gaio Cassio che si tappa il naso con le dita.

GIULIO: Chi è?
SCONOSCIUTO: ehhhm… Giulio?
GIULIO: Sì, sono Giulio. Non ha parlato con la mia segretaria? Ineeeeeesss!! (…) Senta, che cosa vuole, faccia in fretta che ho da fare!
SCONOSCIUTO: Guardati dalle Idi di marzo.
GIULIO: Eh?
SCONOSCIUTO: Cioè… dalle cariatidi di palazzo.
GIULIO: …
SCONOSCIUTO: Pettegolezzo… amorazzo… il sollazzo del popolazzo. Cazzo.
GIULIO: Ma cosa sta dicendo? Chi parla? (parole incomprensibili) Cosa devo guardare? Ma chi sei? Sei uno dei soliti ciceroniani vero? Perfino sulla linea privata! Sono 20 anni che mi perseguitate! (voce disturbata, probabilmente si rivolge a qualcuno presente nell’ufficio)
GIULIO: Rintracciate la chiamata! Allora chi sei? Cosa vuoi?
SCONOSCIUTO: Guardati dalle Idi di marzo. Daje. (riattacca)
GIULIO: Sì vabbe’. Se pensate che io molli siete degli illusi! Io non mollo! Capito? Non mollo! Villani!

Telefonata, 22 febbraio, ore 17,03. Il giornalista Gaio Cassio chiama Publio Casca, sottosegretario al turismo in quota al partito del segretario Cesare Giulio. I due discutono di una recente seduta del Senato.

CASSIO: Ha detto nulla Cicerone?
CASCA: Sì, ma ha parlato in latino. Il solito passatista.
CASSIO: E che cosa ha detto?
CASCA: (linea disturbata, testo incomprensibile).
CASSIO: Ceniamo insieme stasera, Casca?
CASCA: No guarda, ho già un impegno.
CASSIO: Domani?
CASCA: Sì, se sono ancora vivo. Basta che non mi date buca e che il ristorante sia all’altezza.
CASSIO: Bene, vi aspetterò.
CASCA: Va bene.

Telefonata, 3 marzo, ore 22,30. Il sottosegretario Publio Casca chiama il giornalista Gaio Cassio.

CASSIO: Chi è?
CASCA: Un romano.
CASSIO: Ah be’, complimentoni.
CASCA: Cassio, che notte terribile!
CASSIO: Una notte piacevolissima invece.
CASCA: Io un temporale simile non l’ho mai visto.
CASSIO: Sciocchezze, io amo camminare sotto la pioggia. Tempra l’uomo e anche il soldato!
CASCA: Sarà, ma io me la faccio sotto con ‘sti fulmini.
CASSIO: Siete una pappamolla, come tutti i romani. Uno più di tutti.
CASCA: Intendete Giulio, non è vero?
CASSIO: Sia chi sia: i romani si sono rammolliti, questo buonismo li ha resi uguali a femminucce!
CASCA: A proposito, pare che domani i senatori intendano candidare Giulio alle primarie.
CASSIO: Io porterò il pugnale, allora; Cassio non sarà mai un rammollito!

Intercettazione ambientale disposta dall’autorità giudiziaria nel loft romano di Marco Bruto, 8 marzo. Risultano presenti Il giornalista Gaio Cassio, Marco Bruto, il blogger Metello, il consigliere comunale di Monza Decio.

CASSIO: Ma, Cicerone? Dobbiamo sondarlo? Penso che sarà decisamente con noi.
CASCA: Non possiamo lasciarlo fuori.
CINNA: No, certamente.
METELLO: Portiamolo dalla nostra parte. La sua fama di vecchio furbone bilancerà la nostra di giovani babbei.
BRUTO: Oh, no, non lo nominate neppure, non tocchiamo la questione; lui fa solo ciò che può dirigere personalmente.
CASSIO: Ah, allora lasciamolo fuori.
CASCA: Infatti non è adatto.
DECIO: E nessun altro sarà toccato all’infuori di Giulio?
 

Telefonata, 15 marzo, ore 17, Marco Bruto chiama Gaio Cassio. I due sono nella sala dell’Hotel Ergife dove si svolge il congresso del partito e sembrano commentare gli avvenimenti immediatamente precedenti alla nota votazione contro il segretario Cesare, cui seguiranno le sue dimissioni volontarie, motivate con gravi motivi familiari.

BRUTO: Ma che cosa ha detto xxxx? (decifrazione difficoltosa, ma pare dal resto della conversazione che si alluda a Popilio Lena. Il noto presentatore televisivo ha negato ogni addebito minacciando querele).
CASSIO: Si augura che la nostra impresa di oggi abbia successo. Il che vuol dire che ci hanno scoperto! Lo sanno pure i muri! A Roma un segreto non dura dieci minuti, porcazozza!
BRUTO: Guardate, ora sta andando verso Giulio.
CASSIO: Ci hanno scoperto, lo sento! Speriamo che Casca faccia presto. Bruto, che si fa? Se ci hanno scoperto siamo finiti. Finiamo all’opposizione! Io mi ammazzo! Faccio una scissione!
BRUTO: Cassio, state calmo; Lena non parlerà; guardate, sorride come al solito, e Giulio non cambia espressione.
CASSIO: Ecco, il diversivo di Trebonio funziona: attira Marc’Antonio in disparte. È il momento di agire! Daje!



(Liberamente tratto da: W. Shakespeare, Giulio Cesare. Si ringrazia il bardo per aver fornito i testi e Renato Pozzetto per aver indicato come rovinarli.)

il capostipite cerimonioso

«

La natura inanimata è del tutto cerimoniosa e rituale. Vedi le nubi? Pioverà. Anche gli animali, anche gli animali sono assai cerimoniosi e rituali. Guarda l’orrendo piccione come immancabilmente ruota su se stesso, danza, gonfia le penne di fronte alla femmina ritrosa. E la lepre isterica si acquatta quando la volpe trotta lontana, ma se giunge al bordo del perimetro invisibile oltre il quale la fuga è troppo ardita, si alza dritta, immobile e lancia la sua sfida. È un calcolo impossibile di velocità, traiettorie, asperità del terreno, eppure soddisfa entrambe, così che ognuna riprende la sua strada desistendo dallo scatto. Ma puoi star certo che, se è lepre, in quell’istante esatto si alzerà. Un’astuzia infallibile, o piuttosto un colare di gocce dell’umore giusto giù nel nervo dorsale. Oppure, una cerimonia inconsapevole recitata da automi, il solo autore: il palcoscenico.

Gli uomini antichi, infine (e all’inizio), erano così cerimoniosi e amanti dei rituali da inventarseli dal nulla, la cerimoniosità e i rituali, inventando così anche se stessi. I primi tra loro che trovarono opportuno dare un nome alla propria stirpe lo fecero con suoni perduti per sempre, ma il cui senso, senza dubbio, era: "coloro che di ogni gesto fanno cerimonia". E intesero in modo così serio e impegnativo questo curioso e sorgivo raddoppio di mondo, codesti millenari fondatori, da immaginarne l’origine a ritroso, nell’antico passato degli animali e della natura, di cui impararono a simulare l’aspetto e i gesti, ornandosi di penne il capo e di colori il corpo e inscenandone le potenze e le carni, la vita, la passione, la morte che, da quel bordo sacro di palcoscenico, ora vedevano scorrere impetuose. Imparando a voltarsi indietro, sporgendosi dal bordo, crearono il circolo qui evocato, che si potrebbe descrivere infine come una differenza costruita sulla nostalgia di un’identità che non c’è mai stata. Crearono, cioè, colui che si volta e ciò che guarda, e la distanza che tra loro ogni volta nuovamente si apre.

Fu dall’antica radice della cerimoniosità e dei rituali che lentamente si separarono, procedendo in diverse direzioni, tre distinti ma imparentati rami: la religione, il teatro, il potere temporale. E da questi rami fiorì, in fronde ricche e intricate, quel che ne consegue: la poesia e il canto, le saghe e i tribunali, i preti e la delizia delle sublimi torture, i filosofi, quelli torturanti e quelli torturati, da lì vennero la regina e il principe consorte con la loro corte di giullari, dame di compagnia e gentiluomini forbiti e spiritosi, vennero i letterati di corte e quelli da giardino e ancora gli architetti, gli agrimensori, gli avventurieri, i cardinali, le spie, i magnaccia e le puttane, i lacché e i loro padroni, i servi, i ribelli e infine cani, maiali, topi, scarafaggi e popolo minuto ossia, a farla breve, tutto quanto. Venne quel che si può vedere ruotando lo sguardo in ogni direzione, ogni cosa costruita di materiale aereo, apparente, in special modo quel che è giudicato più resistente e alieno: di invisibili rapporti, di diagrammi, spinte, controspinte e passi di danza.

Così, facendo cerimonia di sé o meglio della propria millantata origine, facendosi piega del proprio essere piega e poiché ogni rituale è un ritornare dove non si è mai stati, la cerimoniosità procedette per moltiplicazione, una cellula dall’altra colonizzando tutto quanto. E più procedeva, più impallidiva, si scioglieva, svaporava e infine regnava indefinita, come una nube così diffusa da risultare impercettibile nell’azzurro del cielo, ogni rituale succedendo all’altro, ogni abolizione o estinzione per inedia o per fucilazione mettendo capo a un rituale più invisibile, rarefatto e segretamente espanso. Sbaglierebbe allora chi vedesse nella cerimoniosità e nei rituali l’origine della differenza umana. Ma sarebbe in errore chi li intendesse come barbarie da cui fuggire, la gabbia in cui sempre soffoca lo spirito dei tempi. Perché se è vero che sono la fonte dell’incivilimento e in essi ci distinguiamo dalla bestia cui pure li attribuiamo, è vero insieme che l’incivilimento coincide con la battaglia costante e progressiva contro gli antichi rituali, ed è vero infine che tale battaglia coincide con la sempre più vasta e sottile diffusione dei rituali nuovi. Vista da qui la differenza umana, se mai si può afferrarne la figura, è solo un paradosso, una fragile curva piegata intorno a un asse che ad ogni giro si scosta un poco oltre, il moto di un’elica, un viticcio attorcigliato, il ritornare costante sui propri passi aprendo strade mai prima visitate.
»

Giulio Bartolomeo Argano, La leggenda del capostipite, Rowohlt, Stuttgart, 2012, pagg. 2-3.

cospirazioni e camicie di forza

Discuti oziosamente, come accade in certe chiacchiere serie, e c’è sempre quello che sta zitto per un po’ e poi interviene con foga, altre volte sornione, compiaciuto, e piazza lì l’argomento a suo dire decisivo. Ma che state a battibeccare su queste cose, c’è ben altro dietro. Fatti del giorno, per capirsi: il discredito che ha colpito Grillo, dopo inizi promettenti? Una manovra del sistema dei media che l’hanno ostracizzato da quando lui ha minacciato di colpire il finanziamento pubblico ai giornali. Come facciamo a non capirlo? Le campagne sulle zoccole presidenziali? Non state a perderci tempo, ci sono gruppi editoriali che si fanno la guerra per procura allo scopo di spartirsi fette miliardarie di una torta di soldi e non temete, è tutta una manfrina, alla fine alle minacce seguiranno gli accordi, seguono sempre. Voi non vedete quello che si muove dietro le quinte.

Dietro le quinte si muove di tutto, in effetti.
Ma io dico: perché limitarsi a tracciare le mosse di una lotta casalinga e provinciale? L’ombra di Murdoch e del suo impero non la vedete? Fa molto più al caso nostro. Ecco servita una lotta tra titani dell’economia mondiale che muovono le loro pedine a chilometri di distanza dalle nostre teste. Che poi, cosa sono un po’ di chilometri? Come non vedere che sopra queste beghe da pollaio si giocano partite ben più decisive e stratosferiche? Vi è forse sfuggito il ruolo del Cavaliere e della sua amicizia col potente Putin, il tentativo di lucrare questo legame (col suo sottofondo di rapporti oscuri tra mafie russe e palermitane) e di spenderlo vendendosi come mediatore al potente Impero Americano? Quali inimicizie può mai creare un simile ardito tentativo? E non vi siete accorti che tutto è iniziato con l’ascesa del primo nero? No, più in alto, ragazzi, più in alto: non possiamo scordare il ruolo delle mafie emergenti – quella campana in combutta con quella cinese – e le loro ambizioni planetarie, in inderogabile rotta di collisione con le mafie suddette e precedenti. Le mafie? Non so voi, ma io sospetto che questa sia solo superficie, lo stagno dove nuotano i pesci rossi e dove i bimbi tirano monetine. Stiamo parlando dei veri attori o di misere comparse, prestanomi a loro volta manovrati da intelligenze più sottili, più celate, che tirano le fila di misteriosi giochi? Piccoli magnati, criminali da quattro soldi, mezzi dittatorucoli e loro pari non sono forse che semplici pedine di strutture segrete, associazioni, logge massoniche dai poteri sconfinati, capaci di muovere i destini di nazioni e popoli interi al solo sfiorare piccole leve finanziarie con le loro delicate dita. La massoneria? Una fragile copertura, non penserete che sia tutto qui! Mai sentito parlare dei Sette savi? E del dio degli gnostici?

La mentalità cospirazionista si ferma sempre troppo presto, purtroppo, non è all’altezza, non segue le tracce, non trae le conseguenze. Chi ne è affetto finisce sempre per scegliere una tappa del grande complotto, quella che gli si adatta meglio e si siede su un singolo gradino della infinita e circolare scala a chiocciola della cospirazione universale. E crede a quello, solo a quello, come si crede al sole che sorge al mattino. Una camicia di forza personale che forse salva dall’internamento coatto, dalla visione della orribile spirale. Nessuno che veda un po’ più in là, dannazione, nessuno che scorga l’infernale disegno di cui siamo solo tratti provvisori, presto cancellati da potenti mani, per l’eternità. Non lo vedete, anche voi, quel disegno? Non lo vedete? Non lo vedete?